The Ground We Have in Common è una mostra frutto della collaborazione fra Gallerie delle Prigioni e Fondazione Benetton Studi Ricerche. Protagonisti di questa esposizione sono i giardini del tè del Dazhangshan in Cina, vincitori della trentesima edizione del Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino. La mostra, ospitata per la prima volta negli spazi di Gallerie delle Prigioni, affianca la parte documentaria alle opere d’arte contemporanea.
Fondazione Imago Mundi
Partendo dall’esplorazione del paesaggio del Dazhangshan, il percorso della mostra mette in luce il contesto geografico e architettonico di un territorio che è storicamente il cuore di questa coltivazione. Nelle fattorie di Dazhangshan, nella contea di Wuyuan, oltre 250 famiglie di agricoltori coltivano le piante del tè secondo i principi dell’agricoltura biologica, tenendo vivo un luogo in cui lo stretto rapporto tra il paesaggio e chi da esso ricava sostentamento garantisce la continuità di tradizioni culturali e valori estetici, in condizioni di equilibrio tra uomo e natura. Sono questi i temi approfonditi anche dal documentario creato appositamente per questa edizione del Premio.
The Ground We Have in Common ripercorre idee e temi che hanno attraversato alcune delle precedenti edizioni del Premio, unendo ricerca artistica e indagine paesaggistica, l’esposizione si snoda tra contributi di natura diversa ed esplora i linguaggi scelti da artisti contemporanei che indagano la nozione di giardino in senso ampio e quella della cura della terra.
Una selezione di opere si relaziona con i temi del Premio Carlo Scarpa attraverso diverse chiavi di lettura. Storia e memoria sono le lenti attraverso cui osservare la relazione simbiotica tra l’umanità e l’ambiente naturale, lasciando emergere interrogativi che riguardano la tutela di quest’ultimo da un lato e le istanze di rinnovamento dall’altro. L’indagine si sofferma poi sul ruolo che il commercio e lo scambio hanno nel determinare il modo in cui viviamo e i contesti che ci circondano. Idea, questa, che esplora l’opera sonora di Susan Hiller, ispirandosi alle teorie di Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari, mentre le fotografie di Petros Efstathiadis esprimono un rapporto complesso con il proprio luogo d’origine, un’esperienza fortemente legata al contesto locale dell’artista e che, allo stesso tempo, rappresenta un vissuto condiviso universalmente.
Un altro tema che emerge dalle opere è la fisicità degli elementi naturali. Frutta, foglie e semi sono la materia prima che compone le delicate architetture naturali di Christiane Löhr, mentre il legno è il tramite per la percezione del suono nel lavoro di Michele Spanghero; e, ancora, c’è la creta, che dà forma alla creazione di William Cobbing commissionata appositamente per la mostra. Questi materiali sono un omaggio alle competenze manuali e teoriche necessarie a trasformare il paesaggio e a trasmettere la conoscenza della cura condivisa della terra e dell’ambiente dal contesto locale a quello globale.
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