Il lavoro di Alicia Adamerovich tende verso una dimensione metafisica misteriosa, dove la natura prende vita e rivela la sua energia silenziosa e il suo ordine universale.
Tutta la sua pratica trae origine dal profondo legame dell’artista con la natura, sviluppatosi fin da bambina, essendo cresciuta in Pennsylvania, proprio vicino alla foresta.
Alicia ha sempre trovato in essa un luogo sicuro di rigenerazione, di conforto, ma anche di espiazione, sentendosi sottomessa alle energie sublimi che la flora circostante emana.
Nonostante lo stato d’animo intimo e introspettivo che le sue opere tendono a trasmettere, quando ci incontriamo nel suo studio la Adamerovich si rivela una persona estremamente estroversa e aperta a una stimolante conversazione.
L’artista si è recentemente trasferita in uno studio più grande, con una grande luce naturale e uno spazio sufficiente che le permette di realizzare più lavori contemporaneamente, e ha persino una sezione separata dello studio dedicata alla pratica dell’intaglio del legno.
All’interno di questo, una forma enigmatica di legno che l’artista ha trovato nella foresta vicino alla casa dei suoi genitori: le sue conformazioni uniche le danno l’impressione di avere un carattere proprio, qualcosa che anche l’artista sente e a cui cercherà di dare voce.
Sono pochi gli artisti che lavorano con il legno oggi, soprattutto nei confini di New York, ma nel plasmare le sue forme apparentemente senza tempo e quasi totemiche, la Adamerovich dimostra una rara sicurezza che potrebbe derivare dal suo profondo legame con la natura. La Adamerovich confessa che suo padre è un falegname, che inizialmente le ha dato le basi dell’intaglio, che presto è diventato uno dei mezzi artistici preferiti nella sua pratica. Più tardi avrei anche appreso che sua madre, invece, è una biologa.
È interessante notare come le opere di Adamerovich sembrano vivere esattamente in questa intersezione tra il bisogno antropico di plasmare la realtà e ricostruirla secondo un ordine razionale attraverso l’osservazione scientifica, e il flusso organico di forme e linee che la biologia rivela esistere naturalmente in natura. Adamerovich mi spiega che la maggior parte del suo lavoro parte da disegni liberi, in cui l’artista prende “una linea per una passeggiata”, come ha descritto una volta Paul Klee, esplorando come questa possa organicamente trasformarsi in forme, man mano che la composizione si sviluppa.
Gran parte della sua arte si presenta in realtà come nature morte, situate in quelli che paiono spazi più interni che paesaggi: una sorta di natura morta, in cui l’artista cerca di concentrarsi sulle configurazioni e sulle strutture ricorrenti che sono governate da un ordine universale. Forse per questo motivo, le sue opere sono state spesso impropriamente descritte come surreali, pur essendo molto lontane dalla strategia estetica dello shock o delle giustapposizioni paradossali originariamente esplorata da quel movimento.
Ciò che le opere di Adamerovich sembrano esplorare, infatti, non è un’altra dimensione alternativa rispetto alla realtà della natura, ma un altro livello di comprensione e di concezione di essa che coglie, in qualche modo, forze silenziose e regole di equilibrio che ne controllano il fenomeno, ma che tendono anche a sfuggire a qualsiasi descrizione puramente oggettiva della natura che un approccio antropocentrico e puramente scientifico potrebbe offrire.
Il suo lavoro sembra suggerire una natura segreta, animata da forze nascoste di luce, piante e fertili interconnessioni che rispondono a un ordine cosmico che spesso trascende la comprensione umana, e in particolare le possibilità delle scienze umane di decodificarlo e descriverlo in modo esaustivo.
In questo senso, più che surreale, l’opera di Alicia Adamerivich è più vicina ad una dimensione metafisica, come la descrisse una volta De Chirico, ossia come un tentativo di trovare forme senza tempo che estraggono archetipi da un subconscio ancestrale di immagini, per evocare poeticamente e semplicemente partecipare al mistero della natura, piuttosto che descriverlo.
Nonostante l’artista neghi qualsiasi riferimento intenzionale o ispirazione da questo tipo di fonte, è interessante, ma probabilmente non sorprendente, come i disegni di Adamerovich riecheggino talvolta forme e figure simboliche che potremmo trovare in alcuni rari libri e manoscritti medievali di alchimia: più o meno intenzionalmente, o intuitivamente, l’artista sembra tentare di entrare nell’ordine segreto delle cose, nel sublime che ha potuto percepire in natura fin da bambina, con lo strumento metafisico per eccellenza, cioè la pittura e il regno simbolico e astratto che essa può ancora visualizzare, evocare e immaginare, al di là della descrizione materiale o razionale della realtà.
Queste considerazioni mi portano a riconoscere nel suo approccio alcune somiglianze con gli artisti del Transcendental Painting Group, come Agnes Pelton: La Adamerovich si sente di esplorare una forma di astrazione spiritualmente elevata, impiegando immagini libere tratte sia dalla natura, sia dalla sua impronta di simbolismo ancestrale all’inconscio collettivo.
Le tavolozze notturne e cupe, unite al contrasto sempre più drammatico tra luce e buio, enfatizzano il mistero di qualcosa che sta accadendo; sospeso nel tempo e nello spazio, permette allo spettatore di abbandonarsi semplicemente al mistero della frequenza della luce che si irradia a diversi livelli di energia e che brilla tra lo spettro visibile e qualcosa che è già oltre.
Strato dopo strato, l’artista modella con il colore uno specifico stato d’animo, in opere che finiscono per negare qualsiasi intento narrativo: sono piuttosto da intendersi come “spazi di ricerca”, che suggeriscono una lettura aperta e plurale della realtà che ci circonda.
Ciò che l’artista sembra incoraggiare, infatti, non è una sensibilità o un messaggio spirituale segreto, ma piuttosto un’esperienza umana alternativa e potenziata della natura, in grado di connettersi e catturare tutto il suo splendore.
Immerse in atmosfere suggestive, sospese tra l’alba e il tramonto, l’inizio e la fine, le sue scene sono caratterizzate da un’aura di illuminazione, o forse di allucinazione: nel crescendo e nel decrescendo di colore e luce, l’immagine “scende” nell’invisibile, delineando un momento epifanico di natura che si rivela al di là della nostra percezione convenzionalmente costruita.
Nell’uso della luce, l’artista rivela anche una profonda ispirazione al cinema, o al teatro, in quanto cerca visioni intensificate che alla fine cercano di parlare alla nostra percezione mito-poietica della realtà. Come lei stessa spiega, infatti, utilizza la luce anche come mezzo per creare drammaticità nella scena, trasformandola in un potenziale campo di battaglia tra forze contrastanti: la luce e la penombra, la staticità e il respiro, la forma artigianale e quella organica… in poche parole, la forza della natura e della flora, contro un antropocene che qui sembra essersi già estinto.
Ultimamente, la Ademerovich sta esplorando in modo più audace le texture, costruendo scultoreamente i dipinti utilizzando cera, sabbia e pomice sulle sue superfici pittoriche: questa recente evoluzione rafforza ulteriormente l’impressione che l’artista abbia prima di tutto un’impronta plastica nel creare immagini, in quanto cerca sempre di plasmare la natura circostante individuandone la struttura e la forma essenziali. L’ultima aggiunta alla produzione dell’artista sono i pastelli, che le hanno permesso di sviluppare ulteriormente una fitta sovrapposizione di colori, luci e contrasti, materia e antimateria.
Muovendosi tra diversi medium, la Adamerovich riesce a visualizzare un ecosistema alternativo in cui tutte le cose viventi sembrano interconnesse, unite in un ordine olistico universale, che l’artista rivela come preesistente e trascendente qualsiasi tentativo linguistico o scientifico antropocentrico di descrizione dualistica e oggettivazione della natura come qualcosa di separato.