La tua ricerca si basa sulla raccolta di dati e la loro traduzione visiva. Frequentemente oggetto della tua indagine sono fattori quali produzione ed esercizio del potere; nell’attuale condizione, questi rapporti sono stati fortemente influenzati dal cambio delle dinamiche sociali e di mercato. Quanto la pandemia a tuo avviso ha condizionato il potenziale degli artisti?
La situazione emergenziale che stiamo vivendo ha fatto aprire gli occhi sul sistema precario del mondo dell’arte, situazione a lungo rimasta trascurata. La conseguente risposta di una buona parte degli artisti, insieme a tante altre categorie lavorative del settore dell’arte, non è stata passiva, ma bensì attiva in quanto ha innescato una fioritura delle coscienze volte nel determinare concretamente le tutele lavorative. Il crescente mobilitarsi di gruppi e associazioni fanno ben sperare, per questo in un momento in cui il fuoco delle intenzioni sembra si stia accendendo su larga scala, è importante continuare a tenerlo vivo in modo da dare luce ad una visione futura collettivamente responsabile e priva di gerarchie. Parallelamente alle questioni di classe, penso che gli artisti oltre ad assorbire inevitabilmente ciò che li circonda, proiettandolo in varie declinazioni nel proprio lavoro, si sono resi conto che i flussi di accelerazione raggiunti precedentemente non erano più sostenibili, dal momento che questi iniziavano a gravare non più soltanto sul mondo dell’arte, ma anche sull’oggettiva maturazione delle proprie ricerche.
Nel mio caso gli studi che stavo portando avanti, su quanto le dinamiche lavorative invadevano sempre di più gli interstiziali momenti liberi del nostro tempo, con l’avvento della pandemia e le conseguenti limitazioni, queste due sfere si sono del tutto compattate nello spazio privato. In questo filone temporale a senso unico, in cui la nostra attenzione viene rapita quotidianamente dai mezzi digitali, ho deciso di concentrarmi nel continuare ad estendere il progetto Per un prossimo reale, partito a Kiev nel 2019 durante la mostra “The corrosion of character”, curata da Alessandra Troncone e Kateryna Filyuk alla Fondazione Izolyatsia. Il progetto nasce dall’incontro degli scritti del medico statunitense William Horatio Bates (1860-1931) che pur non essendo visto di buon occhio dalla comunità scientifica, è stato osannato da scrittori del Novecento come Aldous Huxley. Il suo metodo di rieducazione visiva, dei semplici esercizi motori in realtà, conteneva una forte componente immaginifica. Partendo dagli stimoli delle esercitazioni di Bates, l’intento del progetto è quello di riformulare degli esercizi performativi di evasione visiva, in modo che tali azioni possano diventare degli strumenti di cura dai crescenti flussi di connessione e soprattutto da una dimensione ormai pixellata della realtà.
Cosa ti aspetti nel futuro prossimo? Quali cambiamenti potranno (e dovranno) intervenire o cosa vorresti cambiasse nel sistema arte?
Mi piace pensare che questo senso di coesione possa continuare, fino ad arrivare a riprogrammare i parametri dell’arte verso un adeguato supporto non singhiozzante. Oltre alle poche forme di supporto già esistenti è giusto strutturare un welfare adeguato che possa garantire una solida continuità. Certo non è un cambiamento facile, ma credo che con un giusto processo di lavoro coscienzioso che sproni il sistema politico, tale percorso si possa concretizzare. Ciò che intendo credo si possa sintetizzare nell’operato che Art Workers Italia sta compiendo con dedizione da ormai un anno. Un percorso mirato verso un’etica ricomposizione dell’intero settore lavorativo dell’arte, esprimendosi attraverso delle forme di mobilitazione che non sono soltanto online, ma anche di concreta presenza in diverse città italiane. Un’autodeterminazione necessaria, che va di pari passo con delle linee guida ben strutturate e che si auspica possano essere un punto di riferimento per le decisioni politiche riguardanti il giusto utilizzo e coordinamento delle risorse del Recovery Fund.