Richard Ayodeji Ikhide presenta nella mostra da Victoria Miro fino al 13 dicembre una nuova serie di tempere su tavola influenzate dalle atmosfere veneziane.
Ispirandosi a forme di conoscenza antiche e indigene così come ai manga, Ikhide crea un mondo espressivo dove enfatizza l’immaginazione, il sincretismo e le mitologie personali. Lo abbiamo incontrato per approfondire i temi sollevati in “Incroci del Passato”.
“Incroci del Passato” è il titolo della mostra, possiamo però dire che può anche valere sia a livello biografico, sei nato a Lagos in Nigeria e oggi vivi a Londra, sia per le opere che hai realizzato. I tuoi quadri accolgono suggestioni storico-artistiche tradotte in un linguaggio contemporaneo. Cosa ti interessa trattenere della storia dell’arte e della tradizione artistica classica? Che valore ha il passato nella tua pratica artistica?
Rispetto al mio rapporto con la storia dell’arte e con le tradizioni artistiche del passato, le considero come una mappa dello sviluppo della cultura umana attraverso i secoli. Che io stia osservando la scultura africana o un canone pittorico europeo, cerco di adottare un punto di vista olistico, nel senso che ciascuna di queste culture ha contribuito allo sviluppo della cultura umana così com’è oggi. E oggi, a causa della globalizzazione e di strumenti come Internet, queste diverse culture visive si contaminano e si influenzano a vicenda. Dunque, per me come artista, c’è un grande valore in questi diversi canoni, poiché posso imparare da essi e assorbire informazioni provenienti da queste differenti storie e tradizioni.
Qui hai sperimentato per la prima volta la tecnica della tempera all’uovo su tavola, realizzando personalmente i pigmenti. Questa tecnica ti permette di restare fedele alla grafica tipica del tuo stile. Sono figure dai tratti precisi e lineari, con velature luminose ed omogenee, e colori contrastanti. Come interagisce questa tecnica con la tua poetica?
Ciò che mi ha attirato alla tempera all’uovo come tecnica, oltre alle caratteristiche che hai descritto, è stato quanto il processo — dal preparare il colore al dipingere — sia meditativo, come mi permetta, in quanto artista, di essere pienamente coinvolto in ogni fase della creazione di un’opera. Sono interessato a idee metafisiche riguardo al modo in cui attingiamo dal nostro subconscio, da uno spazio eterico immateriale, per portarlo nello spazio materiale e concreto del mondo in cui viviamo; in un certo senso questo processo pittorico diventa quasi rituale o alchemico. Dunque, per me, la tempera all’uovo è sembrata appropriata per questo tipo di pensiero, che è un aspetto fondamentale della mia pratica.
Le opere in mostra sono il frutto della residenza artistica che hai svolto a Venezia, cosa ti ha colpito di più del tempo trascorso qui?
Venezia, essendo una città molto storica, mi ha colpito soprattutto per gli sforzi volti a preservare gli aspetti della cultura e del patrimonio veneziano. I musei sono stati una grande fonte di ispirazione, perché poter vedere e avvicinarsi a dipinti che in precedenza avevo visto solo nei libri è stato straordinario.
L’aspetto mitologico per te è molto importante, difatti hai affermato: “Considero la vita di ciascuna persona come un mito in sé stesso, un’odissea individuale, e mi interessa il significato di mitologizzare se stessi attraverso quel viaggio”, altrove hai citato gli studi sull’eroe di Carl Jung, e soprattutto gli studi di narratologia di Joseph Campbell. Cosa ti interessa del mito e come si inserisce nella narrazione che le tue opere mettono in scena?
Ho sviluppato un interesse per la mitologia sin da piccolo, soprattutto per come stimolava la mia immaginazione da bambino. Poi, crescendo e approfondendo le funzioni dei miti nella società umana, ne vedo sempre più il valore, in termini di come noi esseri umani abbiamo usato i miti per dare un senso al nostro mondo. Amo il fatto che i miti oscillino tra il macrocosmo dell’universo e del cosmo, attraverso i racconti sulla creazione, fino alla dimensione sociale, riguardante il modo in cui strutturiamo le nostre comunità, e ancora più in profondità, fino alla dimensione personale e individuale. Esiste una miriade di miti che si collegano a questi vari aspetti della vita così come la conosciamo.
Così, per questo corpus di opere all’interno della mostra, sono entrato nella dimensione personale e nella dinamica familiare, che ha fatto parte della mia vita nell’ultimo anno, poiché la mia fidanzata ed io abbiamo accolto nostra figlia nel mondo. Le relazioni tra i membri della famiglia, un tema ricorrente nella mia pratica, sono diventate ancora più potenti ora che sto costruendo una famiglia mia. Durante la mia ricerca, il tema della Sacra Famiglia, come dinamica, ha attirato la mia attenzione mentre studiavo le icone, e questo è stato un tema che ho voluto esplorare, creando un gruppo di archetipi di personaggi che rappresentassero queste idee.
In questa serie di lavori mescoli iconografia religiosa rinascimentale italiana, penso al richiamo alla Maddalena in Matri, al Cristo Benedicente di Carlo Crivelli in Blessing, o al San Girolamo che riappare in Patri; con le sculture Nok, oggetti devozionali del Sud-ovest della Nigeria usati come oggetti di culto degli antenati o riferimenti alla religione Edo. Quanto sei interessato al simbolismo e quanto invece alle forme di queste tradizioni artistiche?
Dal mio punto di vista, i simboli e la simbologia costituiscono una parte fondamentale del modo in cui percepiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda: possono essere icone o loghi di brand, oppure simboli più ampi come l’immagine di una madre con un bambino, qualcosa a cui ogni essere umano può relazionarsi, poiché tutti veniamo dalle nostre madri. Mi interessa come diverse culture abbiano comunicato idee fondamentali attraverso questi simboli e motivi archetipici; la figura di San Girolamo, di Maria Maddalena, ecc., erano archetipi in cui vedevo dei paralleli con aspetti della cultura nigeriana. La dimensione del deserto e dell’eremitismo, ad esempio, si collegava agli sciamani e agli erboristi delle tradizioni nigeriane; Maria come matriarca si legava invece alle pratiche matrilineari e alle dinamiche familiari che avevo approfondito all’interno di varie culture e società africane. Così, nel processo di sviluppo di queste opere per la mostra, ero interessato a fondere queste diverse rappresentazioni simboliche in un nuovo linguaggio visivo.”
PHOTO CREDITS
Veduta installativa, Richard Ayodeji Ikhide: Incroci del Passato (Crossroads of the Past) Victoria Miro Venice, © Richard Ayodeji Ikhide. Courtesy l’artista e Victoria Miro
Richard Ayodeji Ikhide, Carry Forth, 2025, tempera su pannello © Richard Ayodeji Ikhide. Courtesy l’artista
Richard Ayodeji Ikhide, Matri, 2025, tempera su pannello © Richard Ayodeji Ikhide. Courtesy l’artista
BIO
Richard Ayodeji Ikhide (1991, Lagos, Nigeria), vive e lavora a Londra, Regno Unito. Si è diplomato alla Royal Drawing School. L’opera di Ikhide è al centro della mostra personale Tales from Future Past presso la CPM Gallery di Baltimora (27 settembre–15 novembre 2025). Nel 2022 ha presentato Acts of Creation con Victoria Miro Projects. Altre importanti mostre personali includono Emiomo, Candice Madey, New York (2022); Immateria, Galerie Bernhard, Zurigo (2022); MythMaking, Steve Turner, Los Angeles (2021); Future Past, V.O Curations, Londra (2021); e Osmosis, Zabludowicz Collection, Londra (2019).
Inoltre, ha partecipato a diverse collettive tra cui: Prospect and Refuge, Sim Smith, Londra (2022); ASSEMBLE, V.O Curations, Londra (2021); No horizon, no edge to liquid, Zabludowicz Collection, Londra (2020); For the Many, Not the Few, Guts Gallery, Online; Bloomberg New Contemporaries, South London Gallery, Londra (2018); Best of The Drawing Year 2018, Christie’s, Londra (2017).
Il suo lavoro è stato acquistato dalla Royal Collection Trust.
Ritratto di Richard Ayodeji Ikhide, 2025 foto: Andrea Rossetti