Questo mese vi portiamo fuori dagli Stati Uniti, per scoprire un po’ di artisti emergenti della vibrante scena artistica di Seoul, dopo le nostre visite durante l’ultima Frieze Seoul.
L’arte del pittore Keunmin Lee, con base a Seoul, è profondamente viscerale, collocandosi su una linea di confine tra allucinazione, ossessione e realtà corporea della sofferenza.
Dalle tele di grandi dimensioni a quelle più medie, l’arte di Keunmin non ammette alcuna influenza dall’esterno: tutti i colori e le forme tormentate provengono direttamente dagli abissi del mondo interiore e dalle profondità della psiche, come elaborazione e catarsi delle allucinazioni a cui l’artista è stato sottoposto in alcuni dei momenti più bui della sua vita.
Alcuni anni fa a Keumin Lee era stata infatti diagnosticata una grave malattia mentale, ma, una volta uscito dal periodo più buio, è stato in grado di trasformare la sua condizione e tutta questa sofferenza in una risorsa di forza creativa unica e visionaria.
Al mio arrivo con Uber – a quel punto avevo già imparato il trucco di toccare l’indirizzo in coreano per farlo funzionare – Keunmin Lee viene a prendermi e mi accompagna al suo studio, situato all’interno di un magazzino/deposito in una zona piuttosto centrale di Seoul.
Intorno a noi, le tele rosse, marroni e scure creano un oceano di sensazioni voraci che toccano istintivamente qualcosa di più profondo, oltre la superficie non solo della tela ma anche dei corpi e della realtà, già all’interno del nostro subconscio.
Nonostante le difficoltà linguistiche iniziali, riusciamo a discutere del suo lavoro, a volte usando il traduttore di Google come aiuto, ma entrando comunque in una conversazione molto profonda.
Come mi spiega Keunmin Lee, tutti questi dipinti sono il risultato di un tentativo di tracciare, segnare e tradurre il mondo interiore, con i suoi desideri, le sue ossessioni, le sue paure e le sue sofferenze, al di là di ogni limite di sensibilità e di senso.
Evitando ogni riferimento fisico e ogni narrazione, le sue opere potrebbero essere descritte come paesaggi mentali allucinati, caratterizzati da una atemporalità e da un’assenza di fantasmi e traumi sospesi che ancora infestano i meandri del subconscio.
C’è davvero molta sofferenza in Keunmin.
Alcune opere sono però più astratte di altre, avvicinandosi a un’astrazione ferocemente espressionista di segni frammentati e masse di colori aggrovigliati.
In altre si possono invece ancora leggere figure orrende: come spiega l’artista, il suo stile pittorico cambia liberamente, reagendo e adattandosi alla condizione psicologica e al suo bioritmo interiore.
In queste travolgenti superfici rosse ci sono cicatrici, dolore che esplode, ma anche occhi enigmatici di spettri della memoria che ancora infestano le notti e la mente. In questo senso, l’arte di Keumin Lee è probabilmente una delle più genuine nel panorama odierno, paragonabile a quella di artisti outsider, ma anche di grandi maestri come Francis Bacon, Leon Golub, Philip Guston.
Oggi Keunmin Lee sta molto meglio, e l’arte è diventata in qualche modo il suo rimedio alla paranoia: un modo per cercare di decifrare sensazioni e visioni irrazionali, per tradurre questa sofferenza in qualcosa di esteticamente potente, ma prima ancora di estremamente terapeutico. Infatti, come confessa l’artista, la pittura è per lui un bisogno, un pedaggio curativo di catarsi nella sua lotta contro quelle spettrazioni.
Ciò è reso evidente anche dalla serie di disegni che mi mostrerà in seguito: corpi brutalmente intricati e in metamorfosi sono dettagliati in modo ossessivo nelle loro parti, mentre si contorcono e si rannicchiano su se stessi o crescono in modo anomalo nelle loro parti e protuberanze come contaminati da qualche strana infezione o parassita. L’infezione e il parassita sono all’interno della psiche e traboccano nel corpo.
Il lavoro dii Keunmin Lee ci costringe a confrontarci con la difficoltà di descrivere, esaminare e affrontare adeguatamente i problemi di salute mentale, che sfuggono a qualsiasi scienza e medicina pura e hanno a che fare con la profondità di se stessi. Allo stesso tempo, le sue opere ci permettono di comprendere il potenziale creativo che queste particolari condizioni mentali spesso consentono, permettendoci di resistere a tutti i consueti filtri espressivi che la società ci imporrebbe.
Mentre parliamo, nella mia testa inizio ad associare l’opera di Keunmin all’idea di “sublime” espressa da Edmund Burke e dal meglio del Romanticismo inglese: un’esperienza forte e intensa di stupore, terrore e pericolo in un tutt’uno, causata da fenomeni spettacolari ma anche minacciosi in cui bellezza e terrore si intrecciano inevitabilmente, catturando l’anima in un’esperienza estetica estremamente forte.
Sebbene nel caso di Lee questo stato d’animo sia completamente distaccato dalla natura, il suo processo di creazione è analogamente innescato da quel momento speciale in cui il soggettivo-interno (emotivo) è costretto a incontrare l’oggettivo-esterno, e questo conflitto dialettico e il conseguente collasso, permette infine alle nostre emozioni di sopraffare la nostra razionalità e sperimentare la meraviglia della pura creazione.
Nonostante negli ultimi anni l’artista abbia operato un po’ sottotraccia, dopo la sua recente mostra personale allo Space K di Seoul e l’afflusso di gallerie internazionali nella capitale della Corea del Sud, non ci è voluto molto perché venisse notato: nel corso dell’anno terrà una mostra in duo con Lehamaun Maupin a Seoul.
Non sembra preoccupato, né particolarmente eccitato: vedrà cosa gli porterà il mondo. Per lui l’arte è innanzitutto un bisogno, uno strumento terapeutico per lui, ma anche per la società, per approfondire la consapevolezza delle potenzialità e delle minacce di un mondo interiore troppo spesso ignorato.