memymom – intervista

Duo artistico belga, memymom è la confluenza di madre e figlia, Marilène Coolens (nata nel 1953) e Lisa De Boeck (nata nel 1985). Hanno iniziato il progetto memymom nel 2004. In precedenza, la loro collaborazione intergenerazionale si era manifestata con La vena ombelicale (1990 –2003), un archivio intimo di foto analogiche in cui Marilène incoraggia Lisa a esprimersi e a improvvisare scene teatrali. Nel corso degli anni, i loro ritratti onirici parzialmente messi in scena, raccolti ed esposti in tre differenti serie di lavori, si sono trasformati in una conversazione matura sulla metamorfosi, l’identità personale e la relazione madre-figlia, ma il loro lavoro si è anche evoluto in un appello all’analisi sensuale e al romanticismo tragico.

Marilène e Lisa, lavorate insieme come duo artistico da quasi due decenni. Come si è evoluto il vostro lavoro nel corso degli anni e come è stato plasmato dal rapporto personale madre-figlia?

Marilène: Rispetto alla fase iniziale, la nostra collaborazione si è evoluta e i lavori risultano più forti, adulti, professionali e consapevoli. Ciò deriva anche dal fatto che siamo autodidatte e che abbiamo trascorso parecchio tempo a esercitarci e a sperimentare digitalmente nel 2004, quando abbiamo iniziato a lavorare come memymom, dopo La vena ombelicale (1990–2003). Ricordo l’alba dell’era digitale: sembrava magica, nel senso che all’improvviso potevi fare tutto ciò che volevi. Intorno al 2010, Lisa ha iniziato a definire obiettivi in linea con la sua visione di memymom. In questo senso, sia il nostro rapporto che il metodo di lavoro hanno aiutato la nostra pratica a progredire. Per quanto mi riguarda è più facile lavorare con una persona più giovane e in contatto con la sua epoca. In generale, non penso che la nostra relazione madre-figlia sia un assioma o che sia davvero importante quando lavoriamo insieme.

Lisa: Per me, la nostra evoluzione si percepisce nell’opera che abbiamo selezionato per questo progetto: Abbiamo visto cose, 2018. È un’immagine del nostro terzo capitolo Da qualche parte sotto l’arcobaleno (2016–2021), che fa parte di un trittico insieme alle immagini: Molte cose e Cose orribili. L’abbiamo esposta durante la nostra più grande mostra personale retrospettiva fino ad oggi, che si è tenuta a Le Botanique di Bruxelles nel 2021, Partita in casa. Resto colpita dal contrasto tra me che giocavo a essere un’adulta affascinante negli anni Novanta. E ora, nel 2018, la me adulta interpreta una bambina che piange e altri ruoli molto duri. È la manifestazione di un’evoluzione e riflette il modo in cui reagiamo automaticamente e intuitivamente all’era in cui viviamo. Col passare del tempo, inizi a sentire il bisogno di raccontare storie diverse e di trasmettere sentimenti e persino opinioni. Questo non riflette necessariamente alcuna forma di attivismo, ma abbiamo sempre tratto ispirazione e reagito al mondo che vediamo intorno a noi, e poiché il mondo è decisamente cambiato, il nostro lavoro ha naturalmente seguito questa evoluzione. È molto difficile definire esattamente in che modo la nostra relazione abbia plasmato il nostro lavoro. Siamo abituate l’una all’altra e siamo molto a nostro agio insieme, ma soprattutto siamo due persone che vanno molto d’accordo. La fiducia reciproca e la nostra simbiosi giocano un ruolo enorme.

Utilizzando numerosi riferimenti teatrali e cinematografici, le vostre fotografie mettono in scena storie, simboli e modelli riconoscibili del nostro mondo contemporaneo. Se dovessimo immaginare un film che raccontasse la combinazione delle vostre storie, come sarebbe e quale regista scegliereste?

Marilène: I primi nomi che mi vengono in mente sono Paul Thomas Anderson, la cui regia è molto delicata ed elegante, e Jane Campion, che è sottilmente e terribilmente feroce. Da una prospettiva puramente visiva, mi piacerebbe lavorare con registi come Leos Carax e Noah Gaspard, entrambi molto moderni nel loro approccio e i cui universi sono colorati e peculiari come il nostro.

Lisa: Ci ho riflettuto molto nel corso degli anni. A questo punto, penso davvero che saremmo le uniche in grado di raccontare le nostre storie: siamo noi ad avere le chiavi dei tanti riferimenti che utilizziamo (tutti i segreti nascosti in bella vista). Una persona esterna avrebbe bisogno di tempo per cogliere tutto il nostro mondo. Il nostro approccio visivo sarebbe quello che usiamo nel nostro lavoro e le nostre storie avrebbero le stesse dubbie possibilità. Potremmo andare in qualsiasi direzione, visto che le nostre immagini sono fondamentalmente fluide e cambiano nel tempo, non c’è solo una trama o un movimento. Mi incuriosisce molto un’artista e regista, Miranda July, che rimane profondamente fedele alla sua visione. Ha un modo davvero unico di vedere il mondo e di percepire le relazioni. Questo e la libertà che filtra nel suo mondo sono davvero ammirevoli.

 

In che modo il passaggio dall’analogico al digitale ha influito sul vostro lavoro?

Marilène: Tendo a sentirmi un po’ intrappolata con la fotografia analogica, e sono invece così tante le opportunità che emergono con la fotografia digitale! La transizione si è rivelata molto fluida, visto che la fotografia digitale offre più opzioni e infinite possibilità. Abbiamo adattato il nostro modo di muoverci e abbiamo iniziato a lavorare in maniera diversa, forse più fantasiosa.

Lisa: Ho bei ricordi legati all’era analogica, ma non ho mai usato una fotocamera analogica per fotografare, era una prerogativa di Marilène. Ma resto affascinata da questo processo dei giorni andati e dal modo in cui era possibile scattare soltanto 36 fotografie, poi bisognava attendere che venissero sviluppate prima di sedersi in macchina a selezionare gli scatti preferiti, per poi appenderli alle pareti di casa e mantenerli in vista il tempo necessario per decidere quali ingrandire. Ripensandoci, sono stati momenti molto intimi. Non c’erano i social media, facevamo quello che facevamo per noi stesse, per il nostro stesso piacere. Quel senso di appagamento è cambiato. Oggi tutto è così accessibile e c’è un eccesso di cultura delle immagini. Figlia dell’era digitale, ho iniziato a scattare foto ininterrottamente con una piccola fotocamera digitale all’inizio del 2004. A quel tempo, fotografavo di tutto, tutto il tempo… Ero dipendente dall’acquisizione di immagini. Era semplicissimo caricare le immagini direttamente su un computer, aprire Photoshop e iniziare a postprodurle. È stato molto importante per noi perché potevamo intervenire sull’immagine ancora più di prima. Marilène vede questo processo come una sorta di pittura, nella misura in cui rielabora le immagini. Non direi che la fotografia analogica è restrittiva, ciò che conta è il mezzo e le possibilità che più ti ispirano. E da cui sei attratto. È così che la fotografia digitale ci ha portate dove siamo ora.

In che modo l’isolamento forzato e gli innumerevoli cambiamenti provocati dalla pandemia hanno influenzato il vostro lavoro?

Marilène: Personalmente, non credo che la pandemia abbia cambiato molto il nostro modo di pensare. Un drastico cambiamento, invece, c’è stato nell’ambiente e nel mondo esterno, dove le persone non interagiscono più come prima. I contatti umani diventano più complicati… e poiché lavoriamo anche con altre persone, diventa ancora più interessante. Durante la pandemia, siamo state costrette a lavorare insieme tutto il tempo. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare, che è di per sé una virtù. Abbiamo realizzato immagini utilizzando le idee che già avevamo prima dell’inizio della pandemia nel 2020. Avevamo tempo a disposizione e abbiamo affrontato questioni che negli ultimi due anni sono diventate ancora più problematiche. L’audacia che permea queste immagini è maggiore perché eravamo isolate. Ed è quello che ci ha fatto andare avanti. In momenti come questi, hai bisogno di disciplina e carattere. Tuttavia, abbiamo anche sentito un senso di vuoto quando ci siamo fermate a pensare al “perché” avremmo dovuto continuare a fare le nostre cose. Era “utile”? Dopo un po’ i pensieri ti sommergono. Non dimentichiamo che gli esseri umani sono creature sociali. Se rimani isolato per troppo tempo, cedi…

Lisa: È stato intenso, ma era ora che avvenisse questo cambiamento. Si potrebbe dire che è arrivato quasi in ritardo, dato che avevamo iniziato la nostra serie Somewhere Under the Rainbow già nel 2016, una riflessione sui tempi che stanno cambiando, the times that are a-changin’. A quell’epoca c’erano stati gli attacchi terroristici a Parigi e Bruxelles. L’atmosfera era oscura, cupa e pesante. In piedi accanto alla finestra, ricordo che pensavo alla scultura dell’arcobaleno vicino alla stazione della metropolitana Belgica qui a Bruxelles… E mi resi conto che noi siamo sotto l’arcobaleno. Avvertivamo l’arrivo di qualcosa, quindi non è stata una sorpresa. Solo un evento in più, un’altra sorpresa che conferma il profondo cambiamento dei tempi. Negli ultimi due anni, siamo però passati a una nuova fase con una velocità impressionante. Oggi siamo nel bel mezzo di un’era neoliberista, dove c’è meno spazio e devi pensare dentro i confini che ti sono stati assegnati. Abbiamo fatto alcuni scatti durante il lockdown. Nel corso degli anni, avevamo raccolto molte idee e bauli pieni di vestiti e costumi, quindi abbiamo fatto quello che facciamo sempre, ma questa volta ci siamo relazionate al mondo in modo diverso, in reazione a ciò che stava accadendo fuori. Queste esperienze hanno lasciato un segno forte nel nostro lavoro, anche se i nostri progetti erano già in anticipo sui tempi e reagivano a ciò che avveniva nel mondo. Questi ultimi anni ci hanno colpite duramente a livello emotivo. Abbiamo scoperto che la bambina che piange, nell’immagine Abbiamo visto cose, in cui le lacrime scendono silenziosamente sui nostri volti mentre stiamo impotenti a guardare il mondo che si sgretola intorno a noi, raffigura al meglio questo sentimento.

 

PHOTO CREDITS

© memymom | Lisa De Boeck & Marilène Coolens

BIOGRAFIA

memymom è la confluenza di due artiste belghe, madre e figlia, Marilène Coolens, nata nel 1953, e Lisa De Boeck, nata nel 1985. Entrambe autodidatte, le fotografe, che vivono e lavorano a Bruxelles, dal 2004 formano un duo artistico sotto il nome di memymom: una collaborazione intergenerazionale iniziata con la serie di foto intitolata Vena ombelicale, 1990–2003, un archivio intimo di foto analogiche in cui Marilène incoraggia Lisa a esprimersi e a creare le proprie scene teatrali improvvisate. È seguito un secondo progetto, La decade digitale, dal 2010 al 2015, in cui le immagini vengono create e modificate digitalmente e l’attenzione si sposta sull’interazione tra le due donne, sia come personaggi che come fotografe, e sulla maternità come tema. Da questa serie sono passate al terzo capitolo, Da qualche parte sotto l’arcobaleno, 2016–2021, con immagini ancora più stratificate in termini iconografici e di contenuto. Ci sono anche riferimenti al passato di Marilène e alcune immagini rappresentano flashback di trame sviluppate in una fase precedente della loro opera. Nel corso degli anni, i loro ritratti onirici in parte scenografici si sono trasformati in una conversazione matura sulla metamorfosi, l’identità personale e la relazione madre-figlia, ma il loro lavoro si è anche evoluto in un appello all’analisi sensuale e al romanticismo tragico.

BIOGRAFIA

memymom è la confluenza di due artiste belghe, madre e figlia, Marilène Coolens, nata nel 1953, e Lisa De Boeck, nata nel 1985. Entrambe autodidatte, le fotografe, che vivono e lavorano a Bruxelles, dal 2004 formano un duo artistico sotto il nome di memymom: una collaborazione intergenerazionale iniziata con la serie di foto intitolata Vena ombelicale, 1990–2003, un archivio intimo di foto analogiche in cui Marilène incoraggia Lisa a esprimersi e a creare le proprie scene teatrali improvvisate. È seguito un secondo progetto, La decade digitale, dal 2010 al 2015, in cui le immagini vengono create e modificate digitalmente e l’attenzione si sposta sull’interazione tra le due donne, sia come personaggi che come fotografe, e sulla maternità come tema. Da questa serie sono passate al terzo capitolo, Da qualche parte sotto l’arcobaleno, 2016–2021, con immagini ancora più stratificate in termini iconografici e di contenuto. Ci sono anche riferimenti al passato di Marilène e alcune immagini rappresentano flashback di trame sviluppate in una fase precedente della loro opera. Nel corso degli anni, i loro ritratti onirici in parte scenografici si sono trasformati in una conversazione matura sulla metamorfosi, l’identità personale e la relazione madre-figlia, ma il loro lavoro si è anche evoluto in un appello all’analisi sensuale e al romanticismo tragico.

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