In un’intervista definisci la tua ricerca artistica come una “riproduzione compulsiva di strutture, forme e azioni scarne e concise”. Molti elementi di riflessione provengono dall’interazione sociale che si crea in contesti come le sagre di paese. In che modo questa condizione di distanziamento fisico influenza la tua pratica artistica?
Le ultime produzioni hanno subito una brusca e volontaria frenata. O meglio, credo di aver premuto forte il freno, accelerando e derapando sul posto. Ho istituito regole simultaneamente più rigide ed elastiche per sviluppare uno scopo evitando possibili contraddizioni. Ho concesso maggior tempo alla strutturazione di un lavoro, appuntando intuizioni attorno al nucleo della questione: un processo narrativo per fare chiarezza, mettere a fuoco, trovare un senso. Un’azione senza uno sviluppo di sovrapposizione, accumulo e sedimentazione credo faccia fatica a mutare ed evolversi in un’idea o presunta tale.
In quest’ultimo anno mi sono dedicato ad Altro Giro, Altra Corsa, il progetto più rigido e (in)disciplinato a cui ho lavorato fino ad ora. Fondamentale per questa esperienza è stato un evento dalle conseguenze inattese che ha dato l’avvio al progetto. Il primo capitolo di questo racconto ha come nodo centrale i passepartout degli autoscontri, ovvero le chiavi universali che danno accesso a giri gratis alla suddetta giostra, e quindi al conflitto, allo scontro, all’auto-scontro. Le modalità per possedere tali chiavi sono tre: essere proprietari della giostra, rubarle a quest’ultimi o riprodurle creando un prolungamento di un gettone attraverso l’ingegno del fai-da-te. Il protagonista della vicenda è un operaio specializzato che ha contribuito a donare la materia prima per quattro sculture. Queste sono l’esatta copia ingrandita delle chiavi universali. Il ferro, il materiale di cui sono fatte, è stato sottratto dall’operaio presso la carpenteria pesante dove lavora. La decisione è avvenuta dopo dodici anni di reiterato sfruttamento, di situazioni paradossali amplificate durante l’emergenza sanitaria. Il rischio circa il furto di quasi un quintale di ferro sta venendo ripagato in litri di birra artigianale. Questo baratto ferro-birra è stato concordato con un contratto!
Il lavoro è il punto d’incontro, l’incrocio tra l’artista ed il pubblico. Credo che proprio in questo periodo storico il fare arte non debba essere un palliativo a una propria situazione, un’attività puramente lenitiva o che la propria pratica venga risucchiata ed inabissata dall’esercizio di stile, dalla replica fine a se stessa che apre a derive patologiche dell’ego. Se il lavoro alberga in questi anfratti, a mio avviso, si crea un ambiente dissipante, annacquato. Essere il co-protagonista di una partita di briscola composta da un solo ed unico giocatore è un po’ difficile.
Definisci le tue opere come meccanismi che “indagano […] la proiezione di possibilità e l’accelerazione tecnologica”. Quali proiezioni possiamo attenderci nel 2022 in termini di cambiamenti, accelerazioni e possibilità, specialmente in ambito artistico?
Auspico un appiattimento di vertiginosi verticalismi. Per quel che riguarda la mia ricerca desidero re-instillare massicce dosi di sperimentazione, acquisire saperi dall’esperienza diretta di un contesto, di un materiale, di una macchina e ritornare a indagare da vicino le nuove tecnologie e alcune pratiche legate ad esse. C’è bisogno di non essere contemporanei. Ho un’esperienza ancor troppo smilza per poter esprimere un giudizio a tutto tondo, solido, completo. Ciononostante penso che il proprio sistema di fare arte non debba essere un fac-simile del sistema dell’arte. Che il primo differisca e si opponga su alcuni aspetti del secondo con modalità propositivo-belligeranti, finemente abrasive.