Perché una fotografa slovacca è finita nel deserto della Palestina? Puoi raccontarci come hai individuato il tema del tuo libro “Born of Sand and Sun” e come il tuo stage a Gerusalemme ha influenzato la tua scelta? In cosa consisteva il tirocinio che hai fatto lì?
Durante i miei studi di fotografia all’università di Zlín, ho vissuto un momento di svolta, quando ho sentito una sorta di vuoto e la sensazione di non fare progressi artistici. Mi sentivo semplicemente bloccata e frustrata, e quindi ho deciso di cambiare ambiente. Ho scelto un programma di scambio alla Bezalel Academy of Arts and Design a Gerusalemme, dove ho incontrato compagni di corso validi, che hanno organizzato anche una grande mostra fotografica nella moschea Maqam An-Nabi Mosa.
Adesso che vi racconterò come sono arrivata al tema del mio libro, non ci crederete.
Ho incontrato per la prima volta i beduini dopo una serata con tutti i miei amici della mostra. Non erano i classici nomadi del deserto, piuttosto beduini più sofisticati che accompagnano i turisti nei tour. Il giorno dopo la mostra, sono andata nel deserto con una macchina fotografica al collo per vedere l’alba. La stanchezza ha avuto la meglio su di me e mi sono addormentata su una delle pietre che coprono la superficie del deserto di Giudea. All’improvviso, sono stata svegliata da un ragazzo su un asino bianco, seguito da due capre nere. Mi gridò “yalla” e in quel momento l’ho seguito ciecamente, in uno stato di confusione. Avevo un po’ di paura, quindi ho registrato un video con la mia fotocamera per i miei genitori, nel caso non fossi tornata a casa. Non avevo il telefono con me, quindi neanche i miei amici della moschea sapevano dove fossi. Nonostante ciò, una forte curiosità e adrenalina mi hanno spinto ad andare avanti. Usama, che poi ho scoperto essere il nome del ragazzo, mi portò dalla sua famiglia, dove mi offrirono cibo e bevande. Ero senza parole per tutto il tempo. Avevano accolto con piena fiducia un’estranea sotto il loro tetto. Hanno condiviso con me l’ultimo pezzo di pane, anche se non erano obbligati a farlo. Questo mi ha spinto a creare una testimonianza su questa straordinaria cultura. Da allora ho visitato le comunità beduine il più spesso possibile. Oltre alla fotografia, ho lavorato parallelamente a una ricerca antropologica sulla loro cultura per comprendere meglio il loro stile di vita.
Quali autori ti hanno influenzato finora?
Probabilmente suonerà come un cliché, ma sono un’ammiratrice della nuova fotografia documentaria americana. È esattamente di questo che sto scrivendo nella mia tesi di master, in cui analizzo Alec Soth, in quanto fondatore del realismo magico nella fotografia documentaria contemporanea. Adoro il lavoro di Soth “Sleeping by the Mississippi”, ma anche Bronek Manual apre un orizzonte completamente nuovo per lo spettatore. Amo anche la vecchia scuola capeggiata da Joel Sternfeld e ammiro Nanna Heitmann della nuova generazione di autori. Il suo stile visivo è inconfondibile e a volte mi sono sentita come se stessi cercando di imitarla. Poi torno subito in me e mi dico che non voglio che sia così. Voglio creare il mio percorso autonomo. In fine, non posso non citare anche Max Miechowski e Simon Roberts.
Dal tuo libro ci è sembrato che questo progetto fosse quasi un viaggio alla ricerca delle radici di questa popolazione, ma allo stesso tempo anche il tuo modo di farti accettare da loro. È così?
All’inizio non avevo idea di quale dovesse essere il significato del progetto. Sapevo solo che volevo creare una testimonianza visiva di questa coraggiosa nazione la cui esistenza è in pericolo. Solo dopo il tempo trascorso con i beduini mi sono resa conto che stavo gradualmente diventando parte della loro comunità. Il libro è accompagnato da due linee narrative, due percorsi. Il viaggio di vita dei beduini e il mio viaggio nella conoscenza della loro cultura e il diventare una di loro.
Cosa ti aspetti che questo libro offra o abbia dato a quelle popolazioni?
La mia presenza ha dato ai beduini la speranza che qualcuno dall’“esterno” fosse interessato a loro e cercasse di aiutarli semplicemente ascoltando i loro problemi senza cedere all’influenza dei media. Durante la mia ricerca fotografica, mi sono chiesta più volte cosa sarebbe successo dopo la fine del progetto e se avesse avuto davvero un significato. Poi ho realizzato che, anche se non posso risolvere i loro problemi, posso promettere loro di portare il progetto il più lontano possibile affinché più persone possano conoscerli. La consapevolezza è l’aiuto migliore. Attraverso il mio libro, le persone possono apprendere quanto sia unico il popolo beduino e possono iniziare a prestare più attenzione a loro.
Avendo lavorato al progetto “Born of Sand and Sun”, cosa ti hanno suscitato i terribili eventi del 7 ottobre 2023 e l’ondata di violenza che ne è seguita?
Il paradosso è che in guerra soffrono sempre gli innocenti e i civili. Non capisco come qualcuno possa permettere che persone che non hanno fatto del male a nessuno muoiano per il capriccio dei rappresentanti dello Stato. La questione del conflitto israelo-palestinese non è nuovo e quello che è accaduto è il risultato di un problema di lunga data. Non possiamo dimenticare il passato. Non voglio scegliere da quale parte stare, ma preferisco scegliere la giustizia, che non si trova su un solo lato del muro.