Virginia Dal Magro

Le interviste dell'open call "PRESENT IS THE NEW FUTURE"

La geografia e la mappatura sono due temi che emergono sovente nei tuoi lavori. Incidere rotte sulla carta (Can I Find a Way There?, 2021-2022), tracciare solchi (Bare Minimum Void, 2024), indagare la soglia tra due spazi (I Can Barely Feel You, 2022); affermi che questi sono dei tentativi di modellare una realtà che ti dà rifugio, modi che ti permettono di allontanarti dalla ricerca della conoscenza ma non dai metodi per raggiungerla. Hai più interesse a sperimentare metodi che a realizzare un prodotto finale?

Nei miei lavori la geografia e la mappatura sono utilizzate come dispositivi di indagine sulla soglia, intesa come spazio di tensione tra opposti. Incidere, tracciare e scavare non sono semplicemente gesti materiali, ma processi attraverso cui esploro e ridefinisco il mio concetto di limite. Cerco rifugio in aree grigie che, proprio perché indefinite, mi spaventano, e il mio metodo è ciò che mi permette di non perdermi. Tutto il mio lavoro ruota attorno al metodo, che cambia per ogni opera, articolandosi in modo processuale a livello di materiali e tecniche e concettuale per quanto riguarda l’approccio all’elaborazione dei dati. Vedo ogni mio lavoro come un frammento di un percorso più ampio o un puntino su una mappa sfocata piuttosto che come un prodotto finale. 


Nel tuo lavoro più recente, Lost Gate, 2024, realizzi un labirinto con dei teli su cui hai stampato con la cianotipia, dentro questo labirinto sono esposti anche dei vetrini da laboratorio che contengono della schiuma nera. Hai cercato di costruire un portale perduto per la connessione con il mondo naturale, ma come si realizza questa connessione?

Il labirinto di Lost Gate invita a perdersi per ritrovare un orientamento diverso, non più basato sulla logica lineare, ma sull’esperienza del corpo nello spazio di passaggio. L’installazione site-specific è collocata in una stanza di accesso, un luogo di transito che enfatizza questa condizione di soglia. La raffigurazione della schiuma come elemento naturale amplifica il senso di disorientamento: la schiuma stessa è un confine instabile, una traccia effimera tra mare e terra o tra correnti in movimento. Nei vetrini da laboratorio, la matrice di stampa – la schiuma utilizzata per la cianotipia – è stata sospesa all’interno di resina trasparente. La scelta di questo medium, che richiama il linguaggio della ricerca scientifica, da un lato svela il processo di studio artistico, dall’altro enfatizza il valore sperimentale della ricerca stessa.
Lost Gate non cerca di stabilire una connessione diretta con il mondo naturale, ma piuttosto con la percezione di uno spazio in cui lo spettatore è invitato a smarrirsi, anziché trovare una via d’uscita.

 

 

In alcune opere più vecchie come Takuu Atoll, 2019, e Try Again, 2019, l’errore gioca un ruolo importante: nel primo caso l’assenza di dati determina una mancanza, un errore; nel secondo caso il glitch serve ad allontanare il riferimento reale aprendo le possibilità all’immaginario. Quanto permetti alla casualità dello sbaglio di entrare in un’opera? E che ruolo gioca nel tuo processo creativo?

L’errore nelle mie opere non è mai un elemento casuale, ma una condizione con cui scelgo di confrontarmi. In Takuu Atoll l’errore fa scomparire un luogo esistente, evidenziando un glitch presente in natura, mentre Try Again utilizza il glitch al contrario, costruisce qualcosa di verosimile partendo da un buco nell’informazione. L’assenza di dati crea un vuoto che diventa esso stesso informazione: la mancanza si trasforma in traccia, in segno visibile di qualcosa che non c’è e proprio in quel frangente si sviluppa l’opera.

Nel mio processo creativo la casualità dello sbaglio è un punto di accesso, una soglia da attraversare per aprire nuove possibilità di lettura. Non si tratta di un imprevisto da correggere o cancellare, ma di un momento di rottura che genera un nuovo equilibrio. L’errore mi interessa quando diventa parte del metodo: accoglierlo significa accettare l’incertezza come spazio fertile, in cui il controllo cede il passo a un’esplorazione più profonda del limite e della sua rinegoziazione.

 

Su quali progetti sei impegnata attualmente?

 

Attualmente sto portando avanti la mia ricerca artistica nel mio studio a Milano, sperimentando nuovi materiali e processi legati alla stampa e all’interazione tra segno e spazio. Il mio lavoro continua a svilupparsi attorno al concetto di soglia, inteso sia come confine fisico che come condizione identitaria.

Insegno Serigrafia all’Accademia di Brera, un’esperienza che considero fondamentale non solo per trasmettere conoscenze tecniche, ma anche per alimentare un dialogo aperto sulla sperimentazione artistica e sull’evoluzione delle pratiche grafiche. L’insegnamento è per me un’estensione della ricerca, un luogo di scambio che mi permette di mettere costantemente in discussione e affinare il mio approccio.

Parallelamente, insieme al collettivo di spazioSERRA, stiamo per lanciare la nuova stagione espositiva IRA GENERANS, un progetto che esplora la riappropriazione della rabbia attraverso il lavoro di artistə emergenti. La dimensione curatoriale mi offre la possibilità di osservare l’arte da una prospettiva più ampia, di creare connessioni e di interrogarmi sul ruolo dello spazio pubblico come dispositivo attivo di relazione e narrazione.

Sono molto soddisfatta del percorso che sto costruendo: questi diversi ambiti – studio, insegnamento e curatela – si intrecciano e si influenzano reciprocamente, permettendomi di mettermi costantemente in gioco e di affrontare nuove possibilità e sfide.

PHOTO CREDITS

I can barely feel you, schermata digitale per disegno preparatorio, 2022

Can I find a way there, stampa a secco da matrice 3D su carta, 2022

Can I find a way there, stampa a secco da matrice 3D su carta, 2022

Lost gate, inchiostro acetato e resina, 2024, ph. credit: Cristiano Rizzo

I can barely feel you, cianotipia su cemento, 2022

Ritratto dell’artista, ph. credit: Clara Borrelli

BIOGRAFIA

Virginia Dal Magro (1994, Milano) è un’artista visiva di base a Milano. È docente di cattedra di Grafica d’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove ha conseguito i suoi studi in Arti Visive. La sua ricerca artistica ruota attorno al concetto di soglia, esplorando il confine tra elementi opposti e cercando un equilibrio tra di essi. Attraverso pittura, stampa d’arte e installazioni site specific, crea opere che espandono e rendono “abitabile” lo spazio liminale tra due dimensioni. Dal 2014 ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2017 ha fondato e tutt’ora fa parte di spazioSERRA, progetto e spazio espositivo no-profit situato nella stazione ferroviaria Lancetti di Milano.

BIOGRAFIA

Virginia Dal Magro (1994, Milano) è un’artista visiva di base a Milano. È docente di cattedra di Grafica d’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove ha conseguito i suoi studi in Arti Visive. La sua ricerca artistica ruota attorno al concetto di soglia, esplorando il confine tra elementi opposti e cercando un equilibrio tra di essi. Attraverso pittura, stampa d’arte e installazioni site specific, crea opere che espandono e rendono “abitabile” lo spazio liminale tra due dimensioni. Dal 2014 ha esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2017 ha fondato e tutt’ora fa parte di spazioSERRA, progetto e spazio espositivo no-profit situato nella stazione ferroviaria Lancetti di Milano.

Condividi