C’è una cosa che accomuna le favole e giocattoli come le case delle bambole, ovvero la loro funzione di dispositivi metaforici e allegorici per preparare i bambini alle complesse dinamiche sociali che sono destinati a sperimentare nella vita adulta.
L’arte dell’artista Yvette Mayorga (nata nel 1991) funziona in modo simile: le sue opere sono allo stesso tempo visivamente seducenti, giocosamente narrative, ma anche dense di contenuto critico, in una stratificazione di rivendicazioni socio-politiche delle comunità latine degli Stati Uniti dissimulata nell’apparenza naif.
Infatti, dietro il loro aspetto “zuccheroso” e l’accattivante colore rosa, le opere di Mayorga funzionano più come trappole visive, che hanno lo scopo di rendere accessibili e accattivanti per gli spettatori storie di disuguaglianza sociale e di sorveglianza vissute dall’artista messicano-americana.
Al centro della sua pratica, uno svelamento senza filtri degli irriducibili contrasti culturali e delle chimere del sogno americano.
Quando ci siamo incontrate lo scorso aprile nel suo studio al Mana Contemporary di Chicago, lo spazio era esattamente quello che ci si aspettava da lei: il suo caratteristico rosa bubblegum era il colore dominante nella stanza, tra le opere e gli altri elementi circostanti.
Mayorga mi accoglie con un matcha latte freddo, per entrambi, che accompagnerà la nostra conversazione sul lavoro in un primo pomeriggio a Chicago insolitamente caldo per la stagione.
Alle pareti c’erano alcuni moodboard con eclettiche combinazioni di immagini ispirate al Rococò e alla moda e lifestyle del XVII/XVIII secolo, affiancate con elementi della cultura consumistica americana più mainstream, dalle sneakers Nike ai personaggi Kawaii dell’Ontario.
Su un tavolo noto subito anche una serie di casette polly pocket, che mi riportano immediatamente alla mia infanzia: queste case in miniatura incoraggiano l’immaginazione delle bambine, educando al desiderio di creare un giorno un proprio spazio domestico accogliente e a prendersi estrema cura dei propri beni, per non perdere i micro personaggi che animano questi mini mondi.
Yvette confessa di aver sognato a lungo di possedere una di queste case polly pocket quando era bambina; in seguito sono comunque diventate importante fonte di ispirazione per le sue stravaganti rappresentazioni immaginarie e allegoriche delle dinamiche di potere nello spazio domestico, che si riflettono poi nella società.
La famiglia di Mayorga è emigrata da Jalisco, in Messico, all’Illinois, ma ha continuato a tornare in Messico ogni estate per immergere lei e i suoi fratelli nella cultura nativa, dimostrando un genuino attaccamento alla terra d’origine e ai valori culturali locali, come qualcosa preservare.
È da queste lenti particolari che l’artista guarda senza filtri al Sogno Americano, esplorando le storie di tanti che, come i suoi genitori, si sono trasferiti negli Stati Uniti per inseguire un’illusione di facile abbondanza e successo economico.
Camuffate in questa apparenza zuccherina, nella maggior parte delle opere di Mayorga possiamo individuare allusioni più o meno sottili volte a svelare come l’ideale americano di ricchezza e qualità della vita sia per lo più un ideale materialista, basato solo sul consumismo, con tutte le contraddizioni che questo approccio porta con sé.
Questo spiega anche i frequenti riferimenti al Rococò, un periodo storico caratterizzato sia da una ricchezza senza pari che da una decadenza.
Mayorga mi confessa di poter riconoscere diverse somiglianze tra quel periodo e i nostri giorni. Disuguaglianze che diventano alquanto evidenti se prendiamo in considerazione il crescente divario economico tra le classi sociali che, attraverso qualsiasi condizione intermedia, non fa altro che esacerbare un’insostenibile discrepanza di condizioni di vita tra gli estremamente ricchi e gli estremamente poveri.
Allo stesso tempo, questo elaborato barocco e rococò è qualcosa che lei ha anche assorbito spontaneamente e reso più o meno consapevolmente parte del suo linguaggio visivo durante il suo soggiorno in Messico. Come ci confessa durante la nostra conversazione, le chiese e le cattedrali in Messico sono state per molto tempo il suo unico “museo” per alimentare il suo gusto estetico e la sua inclinazione artistica.
Mayorga mi spiega come l’architettura a Jalisco e Zacatecas presenti profonde influenze del Rococò francese.
Quando poi Yvette Mayorga mi mostra il cosiddetto stile Churrigueresque (ultra-barocco), capisco esattamente da dove provengono le elaborate decorazioni delle sue opere: in spagnolo Churrigueresco, questo è in realtà uno stile rococò spagnolo in architettura, un ritorno tardo-barocco all’estetica dei precedenti stili platereschi, caratterizzato da una pletora di ornamenti compressi, superfici irte di dispositivi come frontoni spezzati, cornici ondulate, volute rovesciate, balaustre, conchiglie di stucco e ghirlande, che mirano a sopraffare lo spettatore.
Questo stile persegue una versione estremamente elaborata del barocco che è ampiamente presente in Messico, soprattutto come risultato di una resistenza creativa all’imposizione coloniale di questi stili come segni di potere e superiorità culturale.
Allo stesso tempo, la ricchezza creativa e originale di queste decorazioni può essere interpretata anche come una resistenza locale ai dominatori, con i messicani che rivendicano la propria voce e la propria versione di questi stili importati.
D’altra parte, le influenze del Rococò possono essere attribuite anche a una figura particolare della storia messicana, Porfirio Díaz, generale e politico che ricoprì per sette mandati la carica di Presidente del Messico tra il 1848 e il 1876: a quanto pare, ossessionato dalla Francia, Díazimpose l’adozione di vari riferimenti a questo stile al punto che i messicani iniziarono a protestare rivendicando il ritorno alla loro lingua e alle loro simbologie native.
È interessante notare che, seguendo la sorte del periodo Rococò, anche il Porfiriato finì in una rivoluzione, la rivoluzione messicana.
Avvicinandomi al suo banco di lavoro, noto anche alcuni altri strumenti alquanto insoliti per uno studio d’artista: a far compagnia gli acrilici usati da Mayorga, diversi beccucci e sacche per dolci che di solito si usano per la decorazione di torte.
Come mi spiega l’artista, questi sono gli strumenti che le permettono di ottenere la sua riconoscibile e originale estetica dolciaria succosa e sensuale, nel modellare con essi le sue opere applicando l’acrilico sulle tele sagomate.
Tuttavia, tutti questi riferimenti alla pasticceria non sono casuali, ma portano ulteriormente la narrazione della sua famiglia nell’opera: questi effetti e queste tecniche, infatti, imitano e reinventano originalmente la maestria dei lavori di pasticceria eseguiti da sua madre quando lavorava come panettiera in un grande magazzino, dopo essere immigrata negli Stati Uniti.
Costruendo strato per strato elaborati rilievi, Mayorga applica la pittura acrilica in riccioli e bordi smerlati.
In tal modo, nell’intenso lavoro dietro, la pratica dell’artista rivela non solo in forma simbolica e narrativa, ma anche a livello di processo artistico stesso di far riferimento alla condizione della classe operaia latina, per lo più relegata a lavori intensivi sottopagati.
A volte, però, questo aspetto più di commento sociopolitico è reso più esplicito anche dalle simbologie e dai personaggi che Mayorga include.
Le sue tele presentano personaggi immaginari che, come in una favola, possono giocare, costruire la loro vita in una “bella” dimensione alternativa dove archiviare il Sogno Americano è ancora possibile, trascendendo ogni vincolo e costrizione economica e sociologica.
Tutto questo è visibile, ad esempio, nella serie Surveillance Locket (2021), che include anche un’opera recentemente entrata nella collezione del Museum of Fine Arts di Boston: in un ambiente domestico dal design eclettico e idiosincratico, in cui i riferimenti al lussuoso Rococò e alle icone della storia dell’arte convivono con personaggi pop e televisivi, Mayorga ha posizionato dei soldatini negli ingressi e nei sottoscala, in un cenno alle pattuglie al confine tra Stati Uniti e Messico.
Al momento della nostra visita, Mayorga stava lavorando ad una importante commissione pubblica per il nuovo Terminal 5 dell’aeroporto di O’hare, con la curatela di Behar X Schachman: come posso già vedere dal lavoro in corso, l’installazione presenterà un innanzitutto un tono ludico che la renderà perfettamente accessibile a un pubblico di qualsiasi età e background culturale.
Creando una sorta di parco giochi fiabesco, Mayorga in essa ha immaginato un’isola dove le persone sono appena arrivate, ma potrebbero anche dover partire presto.
Al centro due figure rappresentano i suoi genitori che, come altri messicani, sono arrivati negli Stati Uniti senza alcuna certezza, compresa quella di poter rimanere.
Vicino, una giovane donna su un’altalena che ha visto come se stessa, si ispira al famoso dipinto L’altalena del pittore rococò François Boucher.
Dall’altra parte, una coppia di ragazzi, un ragazzo e una ragazza, che rappresentano i suoi nipoti, sono sdraiati sull’erba e si rilassano.
Come mi spiega Mayorga, voleva dare l’idea di un possibile svago, anche in questo stato di incertezza.
Altri elementi rendono più esplicito il riferimento alla sua storia familiare, così come quella di molti altri latino-latini: sullo sfondo vari attrezzi e veicoli fanno direttamente riferimento ai diversi lavori che suo padre ha svolto da quando si sono trasferiti, al lavoro che suo padre svolgeva in una fabbrica di carne e, più in generale, ai diversi lavori della classe operaia del Midwest. Come mi spiega, nel suo lavoro il commento sociopolitico è sottile, inventivamente nascosto nell’opulenza delle decorazioni, ma mira a denunciare, sia nella materia che nella forma la relegazione della forza lavoro latina in lavori a basso salario ma ad alta intensità di lavoro, mettendo in discussione questa condizione e reclamando allo stesso tempo una voce e un potere diversi nella narrazione americana.
Allo stesso tempo, Mayorga ha poi inserito una serie di elementi che fanno riferimento invece alla cultura americana mainstream contemporanea,, come le scarpe da ginnastica Nike che i nipoti hanno scelto per lei. Ancora una volta, alcuni altri simboli dei nuovi idoli del consumo americano percepiti come simboli dell’avercela fatta, di avere realizzato l’American Dream, ma senza averlo davvero raggiunto.
Questo è però solo uno dei recenti grandi progetti pubblici e istituzionali in cui Mayorga è coinvolta, e di cui si occuperà in seguito.
Negli ultimi anni, Yvette Mayorga ha già ricevuto ampi riconoscimenti: il suo lavoro ha fatto parte della mostra Estamos Bien: La Trienal 20/21, acclamata dalla critica, presso El Museo del Barrio, e ora la sua prima mostra personale in un museo è in programma fino a ottobre presso The Momentary, Crystal Bridges Museum of American Art.
Oltre alla commissione per l’aeroporto O’hare, ha in programma un’altra mostra all’Aldrich Contemporary Art Museum che aprirà nel settembre 2023.
Mentre stavo ultimando l’editoriale qualche mese dopo, abbiamo fatto una rapida telefonata per parlare della sua recente esperienza di residenza presso Ceramica Suro in collaborazion con Castilla/Klyuyeva Gallery, un laboratorio incredibilmente ricco di risorse situato a Guadalajara, in Messico, che sta spingendo in avanti la sperimentazione con il mezzo ceramico permettendo agli artisti, compresi i nomi più importanti, di unirsi a questo processo di innovazione e di portarlo nelle loro pratiche.
Lì Mayorga ha avuto occasione di approfondire la sua esplorazione della pratica ceramica, iniziata durante la scuola di specializzazione.
In realtà, come l’artista confessa, quello è stato anche il momento in cui ha iniziato a utilizzare utensili da pasticceria per le sue opere.
Dopo alcune settimane di esperimenti, tentativi e fallimenti collaborando con gli esperti artigiani e altri artisti che vi lavorano, Yvette Mayorga è riuscita a trovare la giusta miscela di polveri per applicare questa tecnica e realizzare una serie di vasi tridimensionali che presentano gli stessi motivi del resto delle sue opere.
Avrebbe voluto rimanere di più, mi dice: è stato un luogo incredibile per espandere la sua la sua ricerca a quest’altro mezzo, e ha apprezzato molto il fatto di essere tornata nel paese d’origine dei suoi genitori, riscoprendo la lentezza di un altro approccio alla vita.
Collocando in modo significativo e pionieristico il proprio lavoro all’intersezione tra immigrazione, femminismo, identità e colonialismo, Mayorga dimostra la sua capacità di affrontare in modo arguto le dinamiche agrodolci e cupe dell’accesso e del privilegio che stanno dietro al Sogno Americano.
Una favola costruita attraverso i media e che si è diffusa oltre i confini nazionali, ma che purtroppo non assicura un lieto fine ai molti che l’hanno perseguita.