VYCZIE DORADO

Where Things Happen #8 — Ottobre 2022

Il lavoro di Vyczie Dorado si muove sulla sottile linea di confine tra umorismo ed esistenzialismo, creando personaggi simpatici ma inquietanti, in grado di fungere da universali per un insieme di atteggiamenti e modelli comportamentali umani nella società di oggi.

Quando sono andata a trovarla nello studio di Queens, NY, Vyczie mi ha accolto con un simpatico maglione con delle rane. Sullo schermo fluttuavano in loop alcuni personaggi di Animal Crossing, mentre una serie di miniature di manga e anime giravano per la stanza.

Tutto questo mi ha portato direttamente nel suo mondo, come poi anche nell’universo visivo con cui sono cresciuta anch’io, nata negli anni ’90 nell’epoca dei cartoni animati giapponesi che colonizzavano tutti i palinsesti televisivi italiani, e con la nascita di Nintendo e Playstation.

 

Nella stanza, i suoi personaggi prendono progressivamente forma tra schermi, fogli appesi e figurine e appunti visivi che li ispirano, come se fossimo in uno studio di animazione o di fumetti.

In particolare, la serie di lavori più recenti sembra attingere molto dal mondo degli anime e dei videogiochi, non solo nell’estetica, ma anche e soprattutto nella narrazione visiva/psicologica e nei dispositivi linguistici applicati.

Infatti, nelle sue scene c’è sempre qualcosa di “carino”, kawaii, a volte persino giocoso, ma allo stesso tempo questi personaggi possono apparire ai più anche profondamente inquietanti e perturbanti, a causa del livello di carica psicologica che l’artista inserisce nella scena.

 

Mentre discutiamo dell’opera, l’artista ci spiega che ha iniziato ad occuparsi di questi personaggi proprio con la pandemia, poiché cercava di esprimere tutta una serie di sensazioni mancanti a causa della mancanza di interazioni umane e dell’isolamento forzato.

Essendo lei stessa affetta da immunodeficienza e quindi costretta a un ulteriore livello di isolamento cautelativo, ha sentito il bisogno di esplorare a fondo i modelli comportamentali e relazionali umani.

 

Al centro dei lavori di Dorado vi è  una serie di momenti psicologici e emotivi astratti che tutti noi attraversiamo nella nostra vita: i suoi personaggi proiettano le loro sensazioni nella scena, costringendo lo spettatore a confrontarsi e a leggerle naturalmente.

Tutte le sue scene sembrano essere incentrate su un sentimento specifico, che viene prima di qualsiasi intenzione narrativa, e viene poi amplificato dall’atmosfera circostante.

In questo senso, dietro l’aspetto tenero e l’estrema semplificazione delle forme, queste figure da cartone animato paiono in realtà imbarcarsi in un’indagine attenta ma anche spietata del monadismo a cui la maggior parte degli individui è oggi incline, svelando la solitudine e la fragilità che si celano dietro questi modelli di comportamento socialmente costruiti.

Spesso senza volto, anonimi, smarriti o soli, sono rappresentati in ambienti apparentemente assurdi che rappresentano sia scene fisiche che stati psicologici.

Allo stesso tempo, la totale assenza di identificazione di genere o razziale è ciò che permette ai suoi soggetti di funzionare più come una sorta di alter ego allegorico della natura umana.

Mentre discutiamo di questi aspetti del suo lavoro, comincio a rendermi conto che si tratta effettivamente di personaggi, ma intesi più nel senso classico greco e poi latino di “maschere”, cioè di personaggi stereotipati che rappresentano un insieme di atteggiamenti umani base.

Qualcosa che possiamo trovare dalle tradizioni orali primordiali, dalle mitologie e dai racconti popolari, fino ai cartoni animati e ai videogiochi di oggi.

Vale la pena osservare, in questo contesto, come l’etimologia stessa di “persona” ci porti in realtà al latino “persona” che era inteso, ancora una volta, più come “maschera” e “personaggio”, e deriva dal greco πρόσωπον (prósōpon) che significa sia “volto; aspetto” sia la maschera usata nel teatro antico per indicare un personaggio o, più in generale, un ruolo sociale.

Le figure di Dorado sembrano rispondere e riflettere perfettamente questa specifica connotazione, che le colloca ben oltre l’identificazione con una persona o una storia specifica, permettendo così allo spettatore di identificarsi e proiettarsi su di esse.

 

Tuttavia, ciò che sembra ancora più interessante dei personaggi quasi non identificati di Dorado è questo livello di universalità, che permette allo spettatore di empatizzare spontaneamente con loro, di leggere quelle scene anche senza alcun contesto narrativo, ma anche di costringerlo a confrontarsi e ad accettare sentimenti ed emozioni. Qualcosa che nella società di oggi è sempre meno praticato, con il diffuso atteggiamento di assenza di emozioni/paura adottato soprattutto dai giovani professionisti delle grandi città come NY.

Nelle sue opere più recenti l’uso del colore e della luce si fa più drammatico, contribuendo a creare atmosfere psicologicamente ed emotivamente caratterizzate che spesso enfatizzano uno stato d’animo fino all’estremo, o al suo culmine. Ciò mi ha ricordato quello che spesso si vede fare nei manga/anime e nei videogiochi, isolando il personaggio a tutto schermo o a pagina per una reazione emotiva o un climax specifico.

 

Al momento della nostra visita, Dorado stava tornando da una residenza nel nord di New York presso il Macedonia Institute.

Qui, disponendo di più spazio in studio, si è imbarcata in un’opera più grande che presenta la vista di un vicolo, con un imponente muro di mattoni rossi che funge da scena drammatica e metaforica per un personaggio solitario che siede sconsolato sul suolo della strada.

Mi racconta che l’opera è stata ispirata da Randonautica, una nuova app che attraverso un complesso sistema di algoritmi e di “lettura delle molecole”, pare riesca a portare le persone verso qualsiasi cosa stiano cercando, incoraggiando delle flaneuries contemporanee che possono portare a esperienze totalmente inaspettate o addirittura traumatiche di ritrovamento o di smarrimento del proprio percorso.

L’artista ha immaginato che la figura principale partecipasse a questa ricerca e si perdesse.

Già dal modo in cui l’ha rappresentato, è evidente la carica innanzitutto psicologica ed emotiva che voleva offrire con la scena, e come in realtà egli si ponga, ancora una volta, più come simbolo di una condizione universale in cui tutti possono identificarsi, prima e al di là di qualsiasi narrazione.

Mi confessa che lavorerà di più sulle luci e sulle ombre, per sottolineare l’atmosfera emotiva che è al centro della scena, prima di qualsiasi figura.

Lavorando per lo più con delicati pastelli su carta, la pratica di Dorado ha recentemente sfidato i limiti del suo supporto, espandendosi in molteplici strati multimediali: esplorando alcuni inventivi arrangiamenti scultorei, Dorado intreccia i mezzi l’uno con l’altro, interagendo con gli spettatori con trucchi e inneschi che rendono la scena più drammatica ma anche più giocosamente interattiva.

C’è anche un intrigante mix di realtà e finzione in tutte queste situazioni giocose messe in scena, che si è manifestato con alcuni lavori presentati di recente per la sua mostra alla Swivel Gallery di Brooklyn quest’estate.

Qui ha incluso anche elementi tridimensionali, all’interno del dipinto, come cornice o come estensione dello stesso, in modo che i suoi personaggi mirino a un’interazione diversa con lo spettatore, materializzandosi potenzialmente nello spazio oltre la superficie piatta di un’illustrazione su carta o di uno schermo.

Ha persino fatto correre un trenino nello spazio, dove, come mi racconta, Rady, uno dei suoi personaggi ricorrenti, si divertiva: con questo approccio ludico Dorado ha forzato ulteriormente lo spettatore a confrontarsi con i suoi soggetti e con i caratteri umani universali che rappresentano.

 

Mi confessa che in futuro le piacerebbe lavorare per sviluppare ulteriormente i suoi personaggi in narrazioni, evitando qualsiasi approccio letterale al lavoro, ma limitandosi a metterli in scena in situazioni diverse, in modo che lo spettatore possa seguirli e immedesimarsi maggiormente in questi soggetti. Nel frattempo, sta anche esplorando l’animazione digitale e le opere digitali, per sviluppare ulteriormente queste narrazioni anche su altre dimensioni.

 

Ritengo che quest’ultimo aspetto sia un’altra direzione e un punto focale della sua ricerca che vale la pena di esplorare ulteriormente, dato che la sua pratica e ricerca  si sta immergendo e attingendo più profondamente alla psicologia e al comportamento nella società di oggi.

Inoltre, con l’aumento dell’uso di meta-discussioni sulle relazioni tra spazio fisico e digitale dell’esperienza, dell’espressione e dell’identità diventeranno sempre più frequenti.

In questo senso, la ricerca di Dorado potrebbe anche contribuire a sollevare una serie di domande rilevanti e ad avviare un interessante confronto su come gestiamo l’identità e le emozioni attraverso i nuovi spazi esperienziali sia materiali e fisici, che digitali e virtuali.

BIO

Nata a Killeen, TX, nel 1998, Vyczie Dorado è un'artista di New York originaria della Florida centrale. Vyczie ha conseguito il BFA presso la Cooper Union for the Advancement of Science and Art e ha ricevuto la Macedonia Institute Artist Residency nell'agosto del 2022. È stata pubblicata su "A View from the Easel" di Hyperallergic, sul numero 2 della rivista Ouch! e su "Emergency Index Vol. 9", un libro annuale pubblicato da Ugly Duckling Presse.

BIO

Nata a Killeen, TX, nel 1998, Vyczie Dorado è un'artista di New York originaria della Florida centrale. Vyczie ha conseguito il BFA presso la Cooper Union for the Advancement of Science and Art e ha ricevuto la Macedonia Institute Artist Residency nell'agosto del 2022. È stata pubblicata su "A View from the Easel" di Hyperallergic, sul numero 2 della rivista Ouch! e su "Emergency Index Vol. 9", un libro annuale pubblicato da Ugly Duckling Presse.

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