Ibrahim Mahama usa la trasformazione dei materiali per esplorare i temi legati alla circolazione delle merci, alla migrazione, alla globalizzazione e agli scambi economici. Spesso realizzate in collaborazione con altri, le sue installazioni impiegano materiali raccolti in ambienti urbani, come resti di legno, documenti di carta o sacchi di juta che vengono cuciti insieme e drappeggiati su strutture architettoniche. Mahama afferma: “Sono interessato a come la crisi e il fallimento sono assorbiti in questo materiale che ha un chiaro riferimento alla transazione globale e al funzionamento delle strutture capitalistiche”.
Concepita in relazione alle tracce architettoniche di edifici dismessi che raccontano la storia sociale e industriale dei luoghi che li hanno generati, la serie di collage e la scultura-installazione qui presentata ricostruiscono le reminiscenze e le connessioni della memoria sociale e culturale associate a quelle di alcune zone del paese d’origine dell’artista, il Ghana, dando vita a un ideale ‘ponte’ geografico, culturale, storico, antropologico e sociale. Una caratteristica della pratica dell’artista è il processo con cui ottiene i materiali. Mahama e i suoi collaboratori ottengono questi oggetti attraverso un processo di negoziazione e scambio. Riuniti in singole, monumentali unità, i materiali-opere sono riutilizzati e diventano parte della continua indagine di Mahama sulla loro vita e sul loro potenziale dinamico.
Ibrahim Mahama (Tamale, Ghana, 1987). Vive e lavora tra Accra, Kumasi e Tamale, Ghana. Tra le mostre internazionali: 22° Biennale di Sydney (2020); Stellenbosch Triennale (2020); 6th Lubumbashi Biennale, Repubblica Democratica del Congo (2019); primo padiglione del Ghana alla 58ª Biennale di Venezia, Venezia (2019); Norval Foundation (2019); Documenta 14, Atene e Kassel (2017); 56a Biennale di Venezia, Venezia (2015); K21, Düsseldorf (2015); The Broad Art Museum (2015); Kunsthal Charlottenborg, Copenhagen e Holbæk (2016) e Tel Aviv Art Museum, Israele (2016).