Nella tua pratica artistica indaghi la storia materiale e specifica dei luoghi, come accade in Che sia Prospero!, 2024, o Kick Me, 2019. Nel primo caso riesumi la leggenda popolare di Prospero Baschieri, un contadino della pianura bolognese che, a cavallo tra Sette e Ottocento, incarnò gli ideali rivoluzionari contro l’occupante francese, guidando un movimento popolare molto prima dei moti del Risorgimento. L’opera ne ricostruisce con erba e fieno il volto secondo un identikit del 1810, e viene esposta durante una performance, così come fu esposta la sua testa tagliata dopo la cattura. In Kick Me, invece, riproduci su dei teli cinque bunker presenti lungo la costa di Barcellona Pozzo di Gotto, tua città natale. I teli delimitano un’area chiusa che ospita dei palloni da calcio realizzati con delle piastrelle scaricate abusivamente all’aperto. In questi due progetti, ma in generale nella tua ricerca, attui dei tentativi di risignificazione del presente, rileggi gli eventi storici per gettare una nuova luce sull’attuale. È un tuo modo di approcciarti a delle questioni contemporanee – cosa può dirci la figura di Prospero Baschieri o una rilettura di un paesaggio violentemente antropizzato?
Kick me, come altri progetti precedenti, pone la macro domanda su cosa sia “casa”, un quesito che si allontana e poi ritorna più violento, un caleidoscopio che rifrange sempre bagliori diversi. Nello specifico osserva ciò che è stato, rispetto al sud Italia, il fenomeno delle case incompiute, pronte ad ospitare figli che mai le abiteranno. C’è stato un eccesso d’amore? Di appartenenza? Di egoismo? Di fiducia? Che colpa ne hanno un padre o una madre nel voler vedere crescere il proprio figlio? Forse sono stati illusi dal boom economico, di certo non avevano previsto la rete e il conseguente desiderio di volere ciò che non si sapeva di volere e l’illusione di poter fare tutto. Voglio credere che il costruire compulsivo sia stato uno sprovveduto atto d’amore e l’abbandono un triste fallimento.
Che sia Prospero!, il mio progetto più recente, emerge dalle poche iniziali informazioni riguardo Prospero Baschieri ricevute durante la mia ultima residenza. Mi era stato chiesto di realizzare un progetto legato al territorio, così ho studiato in maniera cronologica la bassa bolognese fin dalle sue origini, un territorio tranquillo che da sempre si è dedicato all’agricoltura. Il capobrigante stonava tra le righe, era descritto sommariamente ed era poco noto ai locali. Grazie al lavoro del team che mi assisteva abbiamo trovato documenti d’epoca che delineavano un doppio profilo: uno dell’uomo spietato e rovinoso per tutti, l’altro l’eroe degli indigenti. Nessuno però nega la sua latitanza, la sua tenacia nel rimanere sempre nei paraggi di casa ma senza poter vivere in libertà, Prospero era straniero a casa propria e nonostante abbia combattuto per i diritti di tutti è morto da martire e deriso a casa propria. Ieri era un contadino, oggi un orientamento politico, religioso, sessuale, una voce fuori dal coro che tra la massa alza una bandiera. Prospero allora fa un salto nella storia e cammina tra noi, è uno di noi. Tuttavia, una piccola vittoria Prospero l’ha avuta: abbiamo portato la scultura dietro al comune di Granarolo per la festa più importante del paese, dovevamo presentarla a tutti e parlare della sua storia. A mia insaputa, e con grande sorpresa, mi accorgo che la parola “brigante” era ovunque, menù a tema, persone vestite con abiti dell’epoca, volantini che il comune aveva stampato con la sua storia, un cartello stradale con un approfondimento e la promessa di un festival della storia per le scuole e i cittadini costruito intorno a Prospero. Qui capisci che l’opera è un residuo, adesso è nella bocca e nei cuori della gente, è contemporaneo. In sintesi, questi sono atti fecondi, sempre.
In altre opere sperimenti con le relazioni tra oggetti, persone e le storie che le intrecciano e il loro rapporto tra il passato e il presente.
Il passato, in modo particolare quello recente, mi aiuta a comprendere meglio l’attualità. Sembra una frase fatta ma riesco sempre a stupirmi. Non c’è nostalgia o adorazione, considero la ricerca a ritroso come una “prova del nove”, dinamiche che consideriamo superate molto spesso sono attuali, altre, che conosco superficialmente, dopo una rilettura più attenta, si rivelano di un estremo interesse. Tante volte si sente dire “era meglio una volta” senza però motivare e mi chiedo allora se ne siamo così sicuri, perché vorrei capire se pentirmi (invano) di essere nato nel 1991 oppure cavalcare l’onda.
In alcuni progetti esplori il collocamento di opere in ambienti esplicitamente non dedicati all’arte, questo accade in Where Where Where, 2021-2022, due mostre realizzate in un cratere vulcanico e in un complesso megalitico. OSANNA(!), 2021, che, seppure dentro il contesto di spazioSerra, è una edicola dentro una fermata della metro; e pure Panacea, 2023, esposta in una farmacia storica. Sono sicuramente progetti nati in situ, ma vorrei chiederti come, e se, cambia lo sviluppo di un progetto quando operi in questi contesti? Cosa ti interessa testare?
I progetti site-specific mi entusiasmano sempre molto come nel caso di Che sia Prospero!.
Il luogo chiaramente è la chiave di lettura dell’intervento, non come mero contenitore ma come elemento di costruzione. Nei progetti che citi le opere e lo spazio hanno preso l’uno dall’altro e il lavoro si è generato parallelamente.
Where Where Where è nato come forte necessità di confronto tra luogo, artisti, curatori/critici, opera e pubblico. Era in pieno periodo Covid, avevo voglia di autenticità, spesso annoiato dal pubblico delle grandi città mi chiedevo quanto di vero e spontaneo ci fosse nel pacchetto mostra e questo progetto era un test. Come si confronta un’opera dentro al cratere di un vulcano? Regge? La scrittura (che in questo caso non doveva descrivere le opere ma essere a sua volta opera) come si relaziona? Quale pubblico è disposto a scalare un vulcano per vedere una mostra? È facile in galleria. Noi eravamo li, con i nostri zaini, sporchi, sudati, ma con il cuore in gola pronti ad intavolare una discussione con il pubblico, pubblico che chiaramente non è mai arrivato, sull’omonima isola così come in un luogo più accessibile come l’altopiano dell’Argimusco. È stato vero, le opere respiravano come il posto, noi respiravamo a pieni polmoni.
Per spazioSerra la situazione era differente da quella di una galleria, il periodo era lo stesso, il pubblico era di passaggio e di fretta, l’opera mutava mostrandosi sempre diversa, la costruzione del disegno era imposta dall’intersecarsi di linee che partivano dagli elementi strutturali dell’edicola, i colori erano quelli presenti nelle indicazioni (bianco e blu). Si osservava dall’esterno e sotto gli occhi di tutti l’opera fagocitava sé stessa, era un inciampo, nel suo lento mutare sottolineava un tempo limite per osservarla nella sua integrità, l’artista demiurgo era scansato da un’opera autonoma. Testavo il fallimento, il pubblico e quanto avesse senso costruire o distruggere in uno spazio di non addetti. La signora che si occupava delle pulizie in quella zona della stazione (una donna tutta d’un pezzo) mi confessò che ad ogni turno si recava subito a vedere cosa fosse successo e moriva dalla voglia di beccare il dispositivo meccanico mentre scombinava tutto.
Per Panacea ho puntato subito all’obiettivo, necessitavo di una mostra che mettesse in ordine i miei anni passati a Milano e doveva partire da una farmacia storica in Sicilia, una farmacia che custodisse vecchie ricette per curare mali con quello che offriva il paesaggio circostante, paesaggio e cura erano elementi chiave di questo progetto. Non è stato facile, perché ci sono poche farmacie d’epoca rimaste integre e perché nessuna di queste ospita mostre, sono stato rimbalzato dalla prima e con la seconda, dopo un periodo conoscitivo, è nata una stupenda collaborazione. Ho avuto accesso all’archivio e tutto quello che avevo già riscontrato nella tradizione orale era presente nel ricettario. Il punto è che molte di queste sostanze non curavano del tutto ma alleviavano il malessere, molto probabilmente anche un sollievo psicologico. La stessa sensazione la provo quando da Milano arrivo in Sicilia e faccio una passeggiata ai margini del paese, la vista e l’olfatto mi danno un certo sollievo che non so spiegare, una pacatezza immediata.
Così la mostra era un’esplosione di odori che immediatamente rievocava ricordi e paesaggi, una panacea. Ho realizzato 13 riproduzioni della mia gamba destra a partire da un calco, 13 come gli anni passati a Milano, gambe che hanno attraversato l’Italia e portato con sé le fratture del viaggio, segni che rendono unici i singoli pezzi, che li caratterizzano. Il pavimento della farmacia era ricoperto da 13 piante/erbe aromatiche essiccate e le fratture delle sculture riempite con polveri delle medesime miscelate a stucco. Supposizione e realtà si fondono, così come corpo e mente, viaggio fisico e quello della mente. La mostra, nella sua prima presentazione al pubblico, non poteva palesarsi altrove.
Quali argomenti ti stanno interessando maggiormente negli ultimi tempi? E su cosa stai lavorando attualmente?
Da qualche tempo riordino i pensieri, in potenza mi interessa tutto. Il bacino della “casa” si è allargato negli anni e al momento il focus punta su una sensazione più che su un soggetto specifico. La sensazione è quella di non sentirsi mai del tutto a casa, quella sensazione di desiderio e frustrazione tipica delle generazioni vicine alla mia. Quando chiedo ad amici e conoscenti dove si vedono tra 15 anni la maggior parte non ne ha idea (me compreso), come se stessimo aspettando qualcosa, ma non sappiamo dove, quando né se mai arriverà. Sto indagando questa tematica rileggendo testi sul turismo di massa, trovo ci sia un’assonanza tra la figura del turista (che segue percorsi e mete prestabilite) e il progettare la propria vita sui modelli ai quali aspiriamo, mi chiedo quanto sia indotto e quanto intrinseca necessità. Ho trovato parallelismi con una pianta molto diffusa in Italia che per moltiplicarsi necessita di un trauma, ne sto studiando proprietà e usi. Sono alcuni degli elementi ai quali sto lavorando da qualche tempo, aggiungendo tasselli quando lo ritengo opportuno, immagino un grande ambiente dove il pubblico si possa immergere, voglio prendermi il tempo che serve, non ho una scadenza al momento, sono a buon punto.
Riprendendo quello che ti dicevo prima (un interesse generico a priori) credo e cerco di affrontare i miei progetti con un metodo, questo è tipico e nel suo mutare tiene sempre conto di alcuni punti cardine ai quali ancora oggi tengo. Mi interessa il “come” più che il “cosa”.
Che sia Prospero!, performance e installazione, 2024
WHERE WHERE WHERE, incisione su tavoletta di sabbia vulcanica e resina, 2021
Kick me, piastrelle di recupero, malta cementizia, acciaio, prato sintetico, gramigna, stampa su tessuto nautico, 2019/2022, Courtesy Spazio A21
Dettaglio da Kick me, 2019/2022, Courtesy Spazio A21
Panacea, installation view, Courtesy Museo dell’Antica Farmacia Cartia, 2023