Il lavoro di Blair Whiteford vive nel limbo tra figurazione e astrazione: le sue azioni sulla tela sono dirette principalmente da energie psicologiche che muovono intere maree pittoriche verso nuove possibili direzioni espressive. Attingendo liberamente alla storia dell’arte, Witherford inserisce continuamente il suo lavoro in un flusso di riferimenti e connessioni, in una continua conversazione con un ampio gruppo di artisti del passato. “Guardo molto alla storia della pittura”, dice Whiteford, ”e penso a dove voglio che quello che creo possa collocarsi all’interno di questa in relazione al momento attuale. È da lì che parte tutto”.
Quando abbiamo incontrato l’artista nel suo studio di Bushwick, Whiteford aveva appena concluso un’ampia personale da Matthew Brown ma era già al lavoro. Due tele di medie dimensioni erano in corso e una più grande era potenzialmente in attesa di nuovi strati.
Whiteford racconta che la pittura è per lui una dipendenza e un bisogno, come possiamo capire anche dal processo di trasferimento fisico e psicologico sulla tela, e dal livello di coinvolgimento psicosomatico dell’artista su questa.
Come spiega l’artista, i suoi dipinti sono il risultato di un accumulo di strati e livelli pittorici, il più delle volte dettato da colori e pigmenti, che vanno poi a suggerire i prossimi movimenti sullo spazio della tela. Una realtà magmatica e vorticosa ma indefinita, dove tutte le forze e gli elementi sono ancora presenti, fluisce in onde pittoriche fino a quando alcune figure umane emergono lentamente, ancorando l’intera composizione.
Le figure di umanoidi che compaiono nelle opere di Whiteford finiscono per fungere da fulcro per una serie di onde di materia pittorica che gravitano intorno a queste, dove il vortice trova il suo centro.
Mosse da questa sorta di energia magmatica primordiale, le esplorazioni pittoriche dell’artista trasformano la tela in un palcoscenico per un’esperienza trascendentale in cui paesaggio, ritratto e astrazione si fondono indistintamente. In questo senso, le opere di Whiteford riescono a tradurre una sincronicità tra spazio, tempo ed essere, che permette a molteplici dimensioni culturali storiche e spaziali di coesistere in una fusione volante di riferimenti.
Possiamo percepire anche una sorta di musicalità e di ritmo alla base delle tele di Whiteford: di fatti, l’artista dipinge sempre con la musica, come ci racconta, e il ritmo in qualche modo influenza e detta il movimento fluido attraverso il quale si svilupperà la tela. Più specificamente, Whiteford è interessato all’aspetto non verbale della musica e a come questa, nonostante la mancanza di una dimensione semiotica codificata, sia comunque in grado di evocare specifiche atmosfere emotive e psicologiche, toccando risposte più inconsce e automatiche. Allo stesso modo, nel suo lavoro, Whiteford cerca di distillare e amplificare moti e sensazioni e di tradurre la natura “multistrato” e relativamente “multiprospettica”. Anche l’aspetto ritmico che pare condurre i suoi movimenti sulla tela, deriva da un profondo coinvolgimento fisico con essa. Non sorprende che l’artista si trovi molto più a suo agio con scale più ampie: mentre quelle più piccole diventano più ossessive e introspettive, i formati più grandi permettono uno sviluppo più fluido e spontaneo delle forme in un flusso continuo.
In questo senso, le composizioni dell’artista sembrano animate da quell’”élan vital” descritto dal filosofo francese Henry Bregson: un flusso apparentemente caotico e irrequieto di materia ed energia da cui tutto prende forma, una forza vitale basata su un’unità essenziale di tempo, materia, energia e spazio che permette una continua evoluzione nell’esistenza di tutte le cose. Tuttavia, questa forza non è meccanicistica, poiché non risponde a regole di causa ed effetto, ma è piuttosto un principio creativo alimentato da energie universali basate su un misterioso ordine cosmico.
Anche per questo motivo, i dipinti di Whiteford sembrano spesso avvicinarsi ad un livello simile di agitazione e dramma esistenziale che artisti come El Greco o Van Gogh traducevano nelle loro pennellate tumultuose e agitate, che il più delle volte venivano originate da questatensione tra il desiderio di trascendenza e i limiti percepiti del mondo fisico e sensoriale umano. Come nelle opere di El Greco, anche Whiteford esplora questa dimensione intermedia tra cielo e terra, la condanna a una condizione di purgatorio e una dimensione dalla quale l’uomo può elevarsi solo se attinge a un’essenza più profonda della realtà, riscoprendo l’intrinseca bellezza pura, l’ordine e la fertile generazione creativa dell’unità universale tra tutti gli elementi. Man mano che l’azione pittorica di Whiteford procede, un ordine interno emerge dal caos informe, dando forma a composizioni che vivono in una dimensione liminare e fertile tra la realtà fisica e il mondo onirico.
Lasciandosi andare a uno sviluppo principalmente intuitivo della tela, in un abbandono assoluto a ciò che l’universo, i colori e la situazione suggeriscono, nel suo atto pittorico Whiteford si immerge in una esplorazione dell’ inconscio collettivo di archetipi e strutture formali di simmetria e composizione che sono condivise universalmente da menti elevate. L’artista, tuttavia, nega per lo più le sue associazioni con il Surrealismo e si sente invece vicino al Cubismo, in quanto è interessato a come questi costruiscono e traducono la complessa struttura della realtà attraverso la frammentazione. Picasso è la sua principale ispirazione e il suo artista preferito, confessa. Tuttavia, Whiteford va a inserire nel flusso dinamiche emotive e psicologiche più enfatizzate, in un’amplificazione anche del dinamismo psicologico delle scene simili a quelle esplorate dal futurismo o dall’orfismo, così da tradurre le dinamiche estreme che caratterizzano la nostra realtà.
Nel corso del nostro confronto e scambio in studio, possiamo cogliere perfettamente come la fluidità e la gestione delle luci siano i due poli principali attorno ai quali si muove l’intera pratica di Whiteford, contesa tra un’emanazione spontanea e fluida di forme e una messa in scena più drammatica. Evocando il miracolo della creazione, la pittura è la fonte del suo potere immaginativo di trasformare un nulla potenzialmente convulso in nuove forme. Tuttavia, come chiarisce Blair Whiteford, i suoi dipinti sono ancora ancorati alla realtà fisica e alle sue esperienze e ricordi con la natura. In questo senso, possiamo osservare come questi sistemi aggrovigliati di forme e colori alla fine si combinino e risultino in un’unità, poiché l’artista ha cercato di rappresentare questo complicato ma vivace sistema di interconnessioni che avviene collettivamente intorno a noi e da cui dipendono tutte le esistenze.
Di recente, Whiteford confessa di essersi trovato in conflitto con il dilemma del diritto d’esistenza delle immagini, in un mondo già così saturato da esse. L’artista si è trovato a chiedersi come creare immagini che possano ancora avere una rilevanza e una tenuta stimolante, in mezzo al flusso infinito dei media e come farle entrare nella continua evoluzione della pittura e delle creazioni di immagini, dove simboli, forme e archetipi riemergono costantemente.
Per concludere, a fronte anche di queste riflessioni, possiamo descrivere il lavoro di Whiteford come profondamente guidato dal desiderio di creare qualcosa che la gente possa vedere e a cui possa relazionarsi immediatamente, per creare tele che toccano temi universali che possano essere compresi da tutte le culture.
“Vorrei creare opere con cui la gente possa relazionarsi immediatamente. Che possa condividere alcuni dei miei sentimenti, condividere come ci si sente ad esistere come persona in questo momento storico, e come tutto questo sia diventato complicato”, afferma l’artista in una nota conclusiva.