The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn like fabulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars and in the middle you see the blue centerlight pop and everybody goes Awww!
– Jack Kerouac, On the road
Durante questo periodo di pandemia hai lavorato al progetto “Pneuma”, con il quale hai vinto la sesta edizione dell’Italian Council. Il progetto racconta la condizione di immaterialità e intangibilità delle malattie mentali: un tema diventato quanto mai attuale dato l’impatto, anche psicologico, della pandemia sulle persone e sulla società. La tua ricerca è da sempre focalizzata sul concetto di de-stigmatizzazione dell’idea di malattia mentale, indagando come sistemi economici, politici e sociali definiscano “anomalo” un individuo in base ai suoi atteggiamenti sociali.
Il progetto in particolare pone alcune questioni inerenti la cura del disagio psichico in Europa, ed è iniziato proprio con una serie di workshop in dieci Paesi (Italia, Svizzera, Austria, Germania, Francia, Belgio, Olanda, Inghilterra, Romania, Repubblica Ceca) incontrando medici e personale sanitario, uomini e donne in cura e altri attori sociali. Le condizioni imposte dalla pandemia hanno modificato il nostro approccio e le consuete modalità di relazione. Cosa è cambiato rispetto al progetto iniziale, durante questo periodo?
Le tematiche che affronto nel mio lavoro e che sono di mio interesse si sono rivelate estremamente attuali alla luce dei fatti successi da marzo 2020. Il progetto Pneuma si è confrontato con l’emergenza globale non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche sotto l’aspetto espositivo, del pubblico, dell’incontro con le persone e con la sua diffusione.
È un progetto che pone alcune questioni e interrogativi su delle problematiche aperte che riguardano la società e l’individuo che vive nella stessa. Temi come l’isolamento forzato, volontario e l’emarginazione, che si sono dimostrati più tangibili dallo scoppio della pandemia e hanno toccato l’intera popolazione mondiale.
Nonostante le restrizioni sugli spostamenti e l’impatto della pandemia sui vari programmi espositivi, sei riuscito già a presentare in forma parziale il progetto in diverse realtà partner, ovvero STATE Studio Experience Science in Berlin, MARe Museum in Bucharest, Löwenbräukunst Contemporary Art Center e schwarzescafé in Zurich, Etablissement Gschwandner Reaktor a Vienna, La Fondazione a Roma.
L’Italian Council si dimostra quindi, nonostante il momento, occasione preziosa per far “viaggiare” e far conoscere anche all’estero le ricerche e le opere degli artisti italiani contemporanei. Qual è la tua opinione su questo premio come strumento a sostegno dell’arte italiana contemporanea?
La Direzione Generale Creatività Contemporanea ha generato in questi ultimi anni diversi strumenti di supporto e diffusione dell’arte italiana a livello internazionale e certamente l’Italian Council è il suo mezzo più efficace, di punta e il più prestigioso. Contiene oggi al suo interno diverse possibilità di sviluppo e proposte, quella su cui mi sono focalizzato con il mio progetto è quella dedicata all’incremento delle pubbliche collezioni italiane e della promozione progettuale a livello internazionale, e sicuramente è anche quella più impegnativa sotto tutti i punti vista: ricerca preliminare, produzione, promozione, diffusione, e di gestione economica.
Questo periodo è stato per ognuno un momento di riflessione, anche sul proprio ruolo all’interno della società. Anche questo Il tuo progetto, in maniera del tutto forse imprevedibile, ha assunto un significato sociale e una rilevanza storica ancora più evidente.
In che modo gli artisti possono contribuire a comprendere più a fondo questo periodo così difficile?
Sicuramente le riflessioni personali degli artisti in questo ultimo anno sono state molteplici, credo si siano soffermate in modo particolare sul ruolo che l’artista stesso ricopre nella società e nel mondo del lavoro e se questo ruolo ha davvero una sua importanza, rilevanza e dignità. Purtroppo, da questa esperienza collettiva sono emerse troppe problematiche e punti negativi che esistono nel mondo della cultura, dell’arte, sul ruolo dell’artista come professionista e come lavoratore.
In molti casi dalle grandi macerie nascono le grandi rinascite, le nuove linfe, e l’artista che opera con un interesse primario ed egoistico verso se stesso continuerà in ogni caso e in ogni situazione, anche drammatica, a sperimentare, ideare e lavorare, sarà poi la storia con il suo metodo spesso paradossale, caotico, casuale e indirizzato a determinare chi sarà riconosciuto come tale.