“Un giorno arrivano e ti chiedono: ‘chi sa guidare la barca?’ e anche se nessuno risponde, ti mettono alla guida e chi viene costretto non può dire di no. Quella volta è toccata a un ragazzo come me, doveva portare in Italia 100 persone, tra cui io, senza neanche saper nuotare. Ci siamo persi, la barca si è rotta, sono morte tante persone. Fortunatamente la guardia costiera italiana ci è venuta incontro, ci ha caricato e ci ha portato a Lampedusa”.
Houmedi, 28 anni, scappato dal Togo a 16 a causa di conflitti etnico-religiosi, con il suo racconto, fa emergere un fenomeno nel fenomeno, quello degli ‘scafisti per caso’. Sono moltissimi, secondo alcuni studi fatti da Ong, decine di migliaia. Non solo rischiano di morire in mare, ma anche – spessissimo – di venire arrestati come trafficanti. Sono i tantissimi ‘Io capitano’ doppiamente vittime.
“Vedere morire tanta gente accanto a te è terribile, una parte atroce del mio viaggio”.
Che non ha risparmiato sofferenze nel tratto precedente. Dal Togo al Benin poi in Niger e quindi in Libia. “Sono stato arrestato tre volte, mi hanno rubato tutto, mi hanno venduto a un trafficante, così, come fossi una merce. Lavoravo non per guadagnare ma per tornare a essere un uomo libero”.
Ora vive a Treviso.
“Come ho fatto a resistere? La voglia di rivedere la mia famiglia”