Tu sei una fotografa che ha cominciato il suo lavoro all’inizio del nuovo millennio, pensi che da quel momento a oggi sia cambiato il ruolo del fotografo?
In questa decina di anni in cui mi sono dedicata alla fotografia credo siano cambiate moltissime cose. Io mi sono formata nell’era del digitale e del web, ho vissuto in pieno l’esplosione di instagram, standoci così dentro forse mi rendo anche poco conto di quanto sia stato stravolgente per chi appartiene a un’altra generazione. In questi anni siamo stati sommersi sempre più di immagini (e di notizie), affoghiamo letteralmente nelle fotografie e questo non credo abbia
portato a una maggiore cultura fotografica, anzi probabilmente il contrario: non c’è tempo di approfondire nulla e diventa difficile scremare quello che ci arriva. Con i social poi, mi pare ci sia una fortissima omologazione dal punto di vista estetico, un appiattimento.
In questo senso, penso che chi si occupa di fotografia debba avere maggiore cura e consapevolezza, produrre solo ciò che sente necessario, urgente, e non contribuire a una sorta di inquinamento visivo, bisogna fare più ricerca e avere meno ansia di produrre. Oggi tutti producono una mole incredibile di fotografie e le mettono in circolo, non solo i fotografi, e questo ha sicuramente cambiato il ruolo del fotografo, soprattutto documentarista, basti pensare a come sono cambiate le narrazioni delle guerre, raccontate anche in diretta da chi ne subisce le conseguenze più atroci. Non credo che questo levi potere alla fotografia autoriale, abbiamo più punti di vista e più narrazioni ed è un bene, anche per superare lo sguardo unico spesso coloniale di una certa fotografia, penso però che questo abbia portato i fotografi e le fotografe ad avere più responsabilità, a prendersi più rischi e ad abbattere dei confini e delle regole non scritte ormai antiquate. Mi sembra ci sia molta più contaminazione e meno rigidità. La fotografia è molto viva, è in crisi il mondo che la rendeva sostenibile economicamente, questo mi sembra un cambiamento enorme degli ultimi decenni: fare fotografia senza avere un supporto ed essendo sempre più indipendenti – leggi precari – è difficile e sicuramente elimina ancora di più la voce e lo sguardo di chi fa più fatica dal punto di vista economico, il che è un grosso rischio. Siamo esposti alla possibilità che il mondo ci sia raccontato (sia fotograficamente che giornalisticamente) solo da chi può permettersi di farlo.
Siamo abituati a vedere come tutti i canali digitali svelino in diretta i fatti e ciò che accade nel mondo. Dal punto di vista dell’informazione ritieni che siamo tutti esposti a un maggior rischio di superficialità?
Credo di aver risposto in parte già prima, sì sicuramente, tutto è molto rapido ed è un flusso continuo, non c’è spazio per l’approfondimento, per metabolizzare, per verificare le fonti, già siamo all’immagine e alla notizia successiva.
Hai iniziato la tua carriera documentando la nuova scena musicale indipendente italiana, ponendo l’attenzione anche su artisti che si sono fatti portavoce di temi sociali importanti. Pensi che questa tua prima esperienza abbia contribuito al tuo interesse e a un progressivo impegno su determinate tematiche?
Credo sia stato esattamente il contrario. Mi sono avvicinata a un certo mondo e ci sono entrata perché certi temi e quel linguaggio risuonavamo forti, erano i miei, per la prima volta c’era una musica nella mia lingua che mi parlava. Poter entrare in quei progetti mettendo a disposizione la mia visione e creando degli immaginari insieme a quegli artisti è stato per me molto potente. Dieci anni fa la musica italiana era totalmente differente da quello che è il panorama attuale, il mondo indipendente e underground era distante anni luce da quello che succedeva in tv e in classifica, era una musica resistente e che andava avanti in modo realmente indipendente e con pochi mezzi. Sono stati anni meravigliosi, con quegli artisti sono nati rapporti che conservo ancora oggi: a loro devo moltissimo, perché sono stati i primi a credere in me e nella mia fotografia, a sostenerla anche economicamente e a darmi fiducia.
Stiamo vivendo in un periodo in cui il tema delle migrazioni è al centro del nostro dibattito pubblico, così come la situazione di tutti quei giovani che pur essendo cresciuti nel nostro Paese non hanno ancora la cittadinanza italiana. Perché, nel progetto Athletes without citizenship hai scelto proprio lo sport per parlare di queste tematiche?
Lo sport è stato un cavallo di Troia. Mi interessa da sempre il tema della cittadinanza che credo essere una delle storture più odiose di questo Paese, ho sempre voluto raccontare e rendere più visibile l’assurda situazione che vivono più di un milione di ragazzi e ragazze nel nostro paese. Ho cercato diversi canali ma ho sempre trovato un muro, ai giornali e ai magazine non interessava mai, c’era sempre anche una grande confusione sul tema dei migranti e il tema della cittadinanza per chi è nato in Italia o è arrivato qui da molto piccolo. Avevo bisogno che qualcuno pubblicasse il lavoro in primis perché volevo avesse visibilità e poi anche perché mi serviva per produrlo, dato che immaginavo una serie in studio realizzata in un certo modo. Serviva un tema universale, pop, mainstream. Eravamo alla vigilia delle Olimpiadi così ho pensato che lo sport potesse essere la risposta, poi mi sono resa conto anche che poteva essere un emblema molto concreto, tangibile, delle opportunità negate a tante ragazze e ragazzi.
Lo sport è solo un simbolo, perché non deve neanche passare l’idea che per avere la cittadinanza si debba essere un’eccellenza sportiva, un genio o un eroe. È stato un mezzo per poter raccontare delle storie: la parte di testo del lavoro è lasciata direttamente ai soggetti che hanno scritto di loro pugno la loro testimonianza senza mediazioni giornalistiche. Anche le immagini e tutto il processo è stato strettamente condiviso. Per me è fondamentale, soprattutto se decido di raccontare storie di persone marginalizzate, che il lavoro sia condiviso passo per passo e che i testi siano realmente la voce dei soggetti. Ci tengo che i protagonisti che fotografo si sentano parte attiva e partecipe di quello che stiamo facendo e che non subiscano solo la mia visione o il mio atto di scattare.
Ritieni che dover realizzare un progetto intitolato Straordinarie. Protagoniste del Presente sia un chiaro indicatore della presenza di gravi problemi sociali che richiedono attenzione?
Purtroppo sì, il nostro Paese ha un problema con le donne, culturale, politico, sociale. La strada da fare è ancora lunghissima e un progetto come questo è solo un piccolo passo, ma è importante, è importante dire soprattutto alle ragazze che ci sono infiniti modi di essere, c’è una costellazione di possibilità. Offrire a loro questo pantheon di donne che hanno trovato la strada per realizzarsi ed esprimersi al di là di discriminazioni e stereotipi di genere è l’intento del progetto. Straordinarie nasce dall’idea della curatrice Renata Ferri (nell’ambito della campagna di Terre des Hommes per la difesa dei diritti delle bambine e delle ragazze) di ribaltare il discorso, non parlare del problema degli stereotipi e delle discriminazioni, ma raccontare in chiave positiva invece chi ha superato questi ostacoli, chi nel presente sta facendo la differenza. Dopo le tappe di Roma e Milano la mostra, con l’organizzazione di Gramma Studio, sarà esposta a Genova, a Palazzo Ducale, dal 16 gennaio al 16 febbraio 2025.
Le luci della centrale elettrica, Terra, 2017.
Afterhours, Hai paura del buio?, 2014.
Tre allegri ragazzi morti, Sindacato dei sogni, 2018
Zen Circus, Canzoni contro la natura, 2013.
Dente, 2020.
Athletes without citezenship. Great Nnachi, astista, 2021.
Athletes without citezenship. Najla Aqdeir, velocista, 2021.
Athletes without citezenship. Ghassan Ezarra, velocista, 2021
Athletes without citezenship. Youmna Nasri, taekwondoka, 2021.
Athletes without citezenship. Danielle Madame, pesista, 2020.
Straordinarie. Diletta Bellotti, attivista, 2022.
Straordinarie. Sabrina Efionay, scrittrice, 2022.
Straordinarie. Isabella Ducrot, artista, 2023
Straordinarie. Marzia migliora, artista, 2022
Straordinarie. Alina Marazzi, regista, 2022.