Edoardo Manzoni

Gennaio 2025

La tredicesima edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee ha visto quest’anno come vincitore della sezione Arte emergente Edoardo Manzoni. 

Nell’intervista che segue abbiamo discusso alcuni temi che la sua pratica affronta come l’inganno, la seduzione e le dinamiche di soggiogamento in un parallelo tra riti ancestrali come la caccia e la nostra contemporaneità dove la competizione per lo sguardo e l’attenzione ci rende tutti delle prede.

Taverna (Fioritura) è l’opera con la quale hai vinto il Premio Fabbri per la sezione arte emergente. Si tratta di una scultura in alluminio che riproduce un fascio di rami privi della texture lignea che dovrebbero invece avere. Per secoli è stata la mano dell’uomo a imitare le texture della natura, nella tua opera è la natura ad assorbire le forme e le superfici prodotte dall’uomo in uno scheumorfismo al contrario. Come nasce questo lavoro? A cosa fa riferimento il titolo?

Ho trovato questo fascio di rami in un luogo abbandonato, mi hanno subito colpito proprio per il fatto di essere molto lisci, non so se si trattava di legni levigati da qualcuno per fare dei bastoni, o lavorati dalla corrente di un fiume.

L’idea (e in generale quella della serie “Fioritura”, della quale quest’opera fa parte) è quella di partire da dei rami secchi, elementi che hanno terminato il loro precedente ciclo vitale, fonderli in metallo per fissarli nel tempo, dargli un nuovo corpo. Il legno, una volta fuso in alluminio, da elemento naturale diventa un display freddo e artificiale, una sorta di teatrino che mette in scena, forme stilizzate e colorate, come fossero infiorescenze, da qui il titolo della serie che richiama l’idea di rinascita. Il titolo dell’opera invece nasce dal fatto che per disegnare le sagome colorate, mi sono ispirato alla parete di una taverna antica sulla quale ci trovi un po’ di tutto appeso: cibi, ortaggi, arnesi e oggetti d’arredo. Queste forme prendono spunto da elementi del reale ma dal quale se ne astraggono poi definitivamente. Cercano dunque di evocare delle immagini senza rappresentare nulla in modo diretto, suggerendo una natura ornamentale e puramente umanizzata.

Le trappole e il loro meccanismo di seduzione e inganno e la pratica della caccia e della cattura sono elementi che caratterizzano diverse tue opere. Qual è il punto di incontro tra questi rituali ancestrali, come è appunto la caccia, e la contemporaneità secondo te?

Molte mie opere guardano al rapporto ancestrale tra umano e non-umano, e in questo la caccia gioca un ruolo fondamentale. L’animale è stato il nostro primo specchio, mossi dalla fame abbiamo imparato ad imitarlo per cacciarlo, e nel cacciarlo ci siamo separati da esso.

La seduzione intesa nell’accezione negativa di sviare, portare l’altro verso di sé attraverso l’inganno, è una delle più efficaci strategie predatorie. Un esempio è lo “specchietto per allodole” una trappola dalla quale deriva il famoso modo di dire e dalla quale mi sono ispirato per una mia serie di opere. Questo strumento era formato da delle palette girevoli sulle quali erano disposti dei piccoli specchi. I volatili, attirati dalla luce riflessa sugli specchietti, cadevano nella rete preparata dai cacciatori. Decontestualizzata dalla sua funzione ordinaria, ho elaborato la forma dell’allodoliere al fine di spostare il focus sulle sue implicazioni culturali. Se la caccia ha oggi cessato, infatti, di essere intesa come principale strumento di sopravvivenza, l’immaginario a essa connesso non smette di conservare e testimoniare una complessa rete di dinamiche che si riversano nella società e nei sistemi nei quali facciamo parte. Là dove, in una logica di dominio, c’è sempre qualcosa o qualcuno che viene ridotto a preda o oggetto di cattura.

 

Nella tua più recente mostra, Inchino presso Galleria Renata Fabbri, presenti dei lavori scultorei che indagano l’ornamento come punto di incontro tra estetica umana e mondo animale. Sia le trappole, create dagli umani, sia l’ornamento nel manto e nei piumaggi degli animali, sono presentati come strumenti di cattura, dell’attenzione del partner sessuale in un caso e di cattura tout court nell’altro. Vuoi mettere in guardia lo spettatore attraverso questi tranelli estetici?

Sono interessato a suggerire che l’artista non sia poi così diverso da un cacciatore o da un illusionista che crea opere come tranelli per attirare verso di sé lo spettatore. Anche nei miei lavori se da una parte abbiamo la seduzione violenta della trappola, la legge della lotta dove vince il più forte, dall’altra abbiamo la seduzione amorosa dove vince il senso del bello. È il caso degli uccelli del paradiso, che ho presentato sotto forma di sculture nella mostra Inchino.

Nelle mie mostre la battuta di caccia, così come le coreografie di corteggiamento che metto in scena, sembrano cristallizzate, statiche, tutto è sempre sul punto di prendere forma ad un passo dal suo esito. Le mie trappole si camuffano da opera d’arte, sono ben visibili, non si mimetizzano nell’ambiente, perdendo in questo modo la funzione di “esca” e assomigliando più a degli enormi gioielli realizzati con materiali poveri. Sottraendo l’idea di trabocchetto, cerco di sfumare il confine tra scultura, trappola e ornamento. L’obiettivo è quello di innescare una tensione tra l’oggetto e lo spettatore, data da sentimenti di attrazione, seduzione e respingimento.

Hai qualche mostra in cantiere? Su cosa stai lavorando attualmente?

Nell’ultimo periodo ho realizzato diverse opere partendo sempre dalle tematiche legate alla seduzione, ma spostando il focus per esempio verso il rapporto tra fiori e insetti. Ora sono tornato in una fase di ricerca anziché di produzione, sono interessato a molte altre questioni che vorrei approfondire, vorrei portare il mio lavoro verso nuove forme e direzioni.

PHOTO CREDITS

Edoardo Manzoni, Taverna (Fioritura), 2024, fusione in alluminio, alluminio verniciato, Courtesy l’artista e Fondazione Francesco Fabbri. Fotografia di Matteo Viti.

Edoardo Manzoni, Allodoliere, 2022, legno, mdf, laccatura, Courtesy l’artista e Galleria Lunetta11.

Edoardo Manzoni, Paradiso Minore, 2023, legno, capelli sintetici, corde, carta, veduta dell’installazione, Renata Fabbri, Milano. Fotografia di Mattia Mognetti.

Edoardo Manzoni, Sei Fiori, 2023, legno, acciaio, fiori secchi, veduta dell’installazione, Renata Fabbri, Milano. Fotografia di Mattia Mognetti.

Edoardo Manzoni, Senza titolo (Fame), 2022, filo di ferro, filo di rame, spine, chiodi, nastro adesivo, vernice spray, bacche, veduta dell’installazione, Galleria Ramo, Como.

BIOGRAFIA

Edoardo Manzoni (Crema, 1993) vive e lavora a Milano. La sua ricerca si sviluppa dal contesto rurale nel quale è cresciuto. Il mondo contadino ha stimolato il suo interesse verso tematiche quali il naturale e l’artificiale, l’umano e l’animale. I suoi ultimi lavori riflettono sul rapporto tra seduzione e violenza, partendo dalla relazione che l’uomo e l’animale hanno instaurato attraverso la pratica della caccia e i processi di inganno e nascondimento che questa presuppone. L’obiettivo è di riflettere sull’animalità che accompagna l’umano, dai tempi profondi alla contemporaneità.

I suoi lavori sono stati esposti in diversi contesti, tra i quali: Fondazione La Quadriennale, Roma; Lunetta11, Mombarcaro; Renata Fabbri, Milano; PAV, Torino, Vin Vin, Vienna, The Address, Brescia; Art Noble, Milano; Fondazione Antonio Ratti, Como; Triennale, Milano; Sonnenstube, Lugano; Fondazione Pini, Milano. Dal 2017 fa parte di Altalena, un progetto di ricerca indipendente. Nel 2018 fonda il progetto Residenza La Fornace invitando differenti artisti a entrare in contatto e a confrontarsi con la cascina dove è cresciuto e dove tutt’ora porta avanti la sua ricerca artistica.

BIOGRAFIA

Edoardo Manzoni (Crema, 1993) vive e lavora a Milano. La sua ricerca si sviluppa dal contesto rurale nel quale è cresciuto. Il mondo contadino ha stimolato il suo interesse verso tematiche quali il naturale e l’artificiale, l’umano e l’animale. I suoi ultimi lavori riflettono sul rapporto tra seduzione e violenza, partendo dalla relazione che l’uomo e l’animale hanno instaurato attraverso la pratica della caccia e i processi di inganno e nascondimento che questa presuppone. L’obiettivo è di riflettere sull’animalità che accompagna l’umano, dai tempi profondi alla contemporaneità.

I suoi lavori sono stati esposti in diversi contesti, tra i quali: Fondazione La Quadriennale, Roma; Lunetta11, Mombarcaro; Renata Fabbri, Milano; PAV, Torino, Vin Vin, Vienna, The Address, Brescia; Art Noble, Milano; Fondazione Antonio Ratti, Como; Triennale, Milano; Sonnenstube, Lugano; Fondazione Pini, Milano. Dal 2017 fa parte di Altalena, un progetto di ricerca indipendente. Nel 2018 fonda il progetto Residenza La Fornace invitando differenti artisti a entrare in contatto e a confrontarsi con la cascina dove è cresciuto e dove tutt’ora porta avanti la sua ricerca artistica.

Condividi