Luca Bertolo

Novembre 2024

HM, HE, HA è il titolo onomatopeico della mostra che raccoglie quasi cinquanta opere dei pittori Luca Bertolo e Manuele Cerutti presso la Fondazione Coppola di Vicenza fino al 11 gennaio 2025, a cura di Davide Ferri ed Elena Volpato.

Una pausa riflessiva, il lancio di un’ipotesi e un guizzo di sorpresa sono condensati nelle interiezioni che intitolano il percorso rapsodico che si snoda per temi nel torrione medievale sede della Fondazione. Presentiamo una doppia intervista ai pittori; oggi incontriamo Luca Bertolo per parlare di dematerializzazione della pittura, del ruolo delle macchie e del dipingere la pittura stessa.

La mostra si configura come un dialogo e confronto fra opere di due artisti che non avevano mai esposto assieme. È stato un gioco di azioni e reazioni in un contesto, quello del torrione, che obbliga ad un raffronto ravvicinato. Le prime opere che incontriamo volgono lo sguardo verso il basso, la terra e gli elementi che vi germogliano. Poi, attraversando a mano a mano vari nuclei tematici, arriviamo nella bussola dove un tuo recente lavoro sonoro conclude il percorso. È capitato qualcosa di inaspettato in questa dialettica visiva? Come avete organizzato la selezione, anche assieme ai curatori Elena Volpato e Davide Ferri?

È stata una scommessa. Non siamo partiti da un tema o da affinità stilistiche. Da anni stimo la raffinata intelligenza pittorica di Manuele, ma ad avvicinarci c’è anche una sensibilità più generale. Quello con Ferri e Volpato è stato un vero dialogo: botta e risposta, immagine chiama immagine, parola chiama parola. Alla fine, come ci hanno confessato un po’ increduli molti visitatori, sembra che tra i nostri lavori, così diversi, ci siano più punti di tangenza del previsto. Significativa mi pare la portata generale: le sensibilità si toccano anche laddove non si direbbe.

In alcune conversazioni che ho letto citi il celebre passaggio dai Sentences on Conceptual Art (1969) di Sol LeWitt: “Conceptual Artists are mystics rather than rationalists. They leap to conclusions that logic cannot reach.” (“Gli artisti concettuali sono più dei mistici che dei razionalisti. Saltano a conclusioni che la logica non può raggiungere”).

Nel tuo lavoro c’è una sottile affinità col pensiero concettuale e risuona una polarità, o meglio una articolazione tra la materia della pittura e la tensione del concetto; articolazione che tende a conclusioni, a quelle “verità mistiche”, che la logica non può raggiungere. Per te la pittura è cosa, o meglio un gesto, mentale?

Pensa che proprio ieri stavo scrivendo: “Quel noto pittore mentalista chiamato Marcel Duchamp…”. La tua è una domanda raffinata che tocca un aspetto fondamentale, ma temo che se provassi a rispondere come merita non mi basterebbe tutto lo spazio di questa intervista. Potremmo cominciare con Leonardo, anche lui sottolineava tanto la dimensione mentale del disegno. Mi piacerebbe cavarmela con un aforisma: Oscar Wilde via Google, che consulto come un oracolo, ed ecco il primo risultato (giuro!): “Nessun grande artista vede mai le cose come realmente sono. Se lo facesse, cesserebbe di essere un artista”. Mi pare un ottimo punto di partenza per dire che la pittura è materia che si smaterializza producendo un’immagine. L’immagine, in quanto presenza di un’assenza, viaggia su un’orbita, allontanandosi da noi per un tratto, riavvicinandosi a noi per un altro tratto, ciclicamente. Bisognerebbe parlare sempre di questa relazione come in un ciclo.

La macchia di colore e la sua ambivalenza ha un ruolo importante nella pratica di entrambi: viene usata ora come negazione e copertura ora come affermazione e sottolineatura.

La pittrice statunitense Helen Frankenthaler è celebre per l’uso di quest’espediente, titolava poi i suoi quadri con frasi evocative, come a rimarcare che il mondo ci si disvela più per come lo immaginiamo che per come esso è in realtà. Nella tua pittura, la macchia indefinita e smarginata, ti interessa per la libertà che incarna, per come ci avvicina senza però farci entrare nell’astratto o per cos’altro?

Tagliando con l’accetta, potrei dire che il disegno è gesto, segno, costruzione, attività,  laddove la pittura è invece campitura, texture, osservazione, passività. La macchia è per me una sineddoche della pittura: abbandono al mondo del visibile prima ancora che una sua determinazione. La macchia è rappresentazione allo stadio larvale, pura potenzialità.

 

In alcuni tuoi quadri, come anche in quelli di Manuele, talvolta fate del supporto il soggetto stesso del dipinto – penso a Veronica 18#05 e Abstract Painting #3 e a Il Sospetto (VIII) di Manuele. Si tratta di un discorso meta-pittorico che sposta l’attenzione fuori, dietro, al di là del quadro, in una dialettica tra supporto e immagine che cortocircuita la presenza fisica dell’oggetto tela-telaio con l’assenza dell’immagine, “nascondere evocando” sembra essere il leitmotiv. Per te è più un discorso sulla pittura e i suoi strumenti o sulla mistica delle immagini?

Il discorso della pittura su sé stessa mi pare una piccola perversione che andrebbe tenuta nella sfera del privato. La situazione cambia quando si riesce a trattare il proprio medium in chiave metaforica (pittura come trascendenza, per esempio) – in questo caso possiamo ambire all’universalità, e l’erotismo sprigionato da un certo uso di un medium mi pare moralmente giustificato. Dici bene: un discorso meta-pittorico che sposta l’attenzione fuori, dietro, al di là del quadro… Forse la pittura lo fa più di altri medium, ma credo che tutta l’arte giochi a rimpiattino col mondo. Non riuscendo a darci un senso compiuto delle cose, per sfuggire l’angoscia facciamo tutti – artisti e pubblico – come il nipotino di Freud che lanciava sotto il letto il rocchetto per poi farlo gioiosamente ricomparire. Si stava abituando ad accettare l’assenza della madre, così lo spiega Freud, prefigurandosi la gioia del suo ritorno.

PHOTO CREDITS

Veduta installativa HM, HE, HA, Luca Bertolo e Manuele Cerutti, Fondazione Coppola, Vicenza, 2024

Luca Bertolo, Marina depisisiana #1, 2017, olio su tela, Courtesy spazioA, Pistoia, ph. Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Natura morta 23#02, 2023, olio su tela, Courtesy spazioA, Pistoia, ph. Camilla Maria Santini

Luca Bertolo, Veronica 18#05, 2018, olio su tela, Courtesy Collezione Coppola

BIOGRAFIA

Luca Bertolo (Milano, 1968), vive e lavora a Seravezza. Ha studiato informatica all’Università Statale di Milano e poi pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha vissuto a São Paulo, Londra, Berlino, Vienna. Ha partecipato a mostre in spazi pubblici e privati. Nel 2018 ha pubblicato I baffi del bambino. Scritti sull’arte e sugli artisti, Quodlibet. Nel 2022 ha curato l’edizione italiana di Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea, di James Elkins, Johan & Levi. Insegna pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

BIOGRAFIA

Luca Bertolo (Milano, 1968), vive e lavora a Seravezza. Ha studiato informatica all’Università Statale di Milano e poi pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Ha vissuto a São Paulo, Londra, Berlino, Vienna. Ha partecipato a mostre in spazi pubblici e privati. Nel 2018 ha pubblicato I baffi del bambino. Scritti sull’arte e sugli artisti, Quodlibet. Nel 2022 ha curato l’edizione italiana di Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea, di James Elkins, Johan & Levi. Insegna pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

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