Novembre 2024
Tomoo Gokita esordisce come grafico e illustratore ma decide ben presto di dedicarsi all’arte. Per le sue opere attinge a fumetti, film, riviste underground e pornografiche, che divengono la base di composizioni astratte e surreali. Talvolta definito post-concettuale, Gokita tratta la banalità del quotidiano attraverso soggetti ordinari inseriti in atmosfere distorte e oniriche.
Lo abbiamo incontrato in occasione della mostra personale “Gumbo”, curata da Alberto Salvadori presso Fondazione ICA di Milano fino al 30 novembre, per scambiare alcune riflessioni sulle sue nuove opere.
Partirei dal titolo della mostra: “Gumbo”, che è il nome di uno stufato tipico del sud degli Stati Uniti. Nel testo che introduce la mostra affermi: “Non ho idea del significato (…) ho semplicemente dipinto le cose che volevo dipingere – i miei sentimenti e pensieri quotidiani”.
I titoli che scegli sono quindi il risultato delle momentanee suggestioni del caso o segui anche intuizioni sinestesiche suggerite dalle opere? Quale relazione ha per te parola e immagine?
Penso che provenga dalle opere stesse. Per me è sempre divertente ma anche doloroso trovare un titolo per una mostra. Anche questa volta ho faticato un po’, ma quando ho guardato le opere concluse, ho sentito che non c’era un’unità tematica, tranne che per la serie Scarecrows, e che quindi era come una zuppa con vari ingredienti, così mi è venuto subito in mente il gumbo e l’ho usato come titolo. Tra l’altro, adoro l’album capolavoro di Dr. John, “Gumbo”, ma non ha nulla a che fare con questa mostra.
Emerge dalle opere una mancanza di intenzioni: non dipingi per ritrarre qualcuno o qualcosa ma per praticare la pittura; più che seguire uno storytelling dipingi alla ricerca della sorpresa, accettando imprevisti ed errori, come tu stesso affermi “il fallimento genera il successo”. Per questo deformi i tratti e sfiguri i visi, così distorsioni cubiste e ambientazioni surreali creano ritratti perturbanti come Onsen Therapy, nature morte inquiete, come nella serie Scarecrows e astrazioni oniriche. Che tipo di rapporto instauri con i soggetti ritratti? Sembra che più che delle forme ti (pre)occupi della loro forza e della loro presenza.
La forza visiva è uno degli elementi importanti. Non sono capace di pensare a delle storie, quindi spesso creo opere superficiali, prive di un significato profondo e sono attratto da immagini scherzose. In ogni caso, sarei estremamente felice se la migliore idea che ho in testa si trasformasse in un’opera come previsto, ma credo che il fatto che non sempre accada sia ciò che rende la creazione interessante e la parte migliore. Quando non funziona come vorrei mi sento frustrato e alla fine mi arrendo. Penso sempre che sia in quei momenti che si trova l’essenza della creatività.
Sottrazione, aggregazione, condensazione, esagerazione, sono tutti modi attraverso cui trasformi le immagini che dipingi. I tuoi personaggi appaiono indefiniti eppure hanno sempre una certa tensione psicologica, qualcosa accade in queste immagini. Emerge qui il legame con la musica, il suo essere immateriale e indefinito che però ha una profonda influenza psicologica su di noi. Come entra, o influenza, la musica nella tua pratica?
La musica è la cosa migliore. Forse mi piace più della pittura. Non ho mai pianto davanti a un quadro, ma ho pianto innumerevoli volte ascoltando musica. Credo che ci sia un segreto in questo. Tuttavia, in genere non ascolto musica mentre sto creando un dipinto. La musica mi toglie la coscienza e le mie mani smettono di muoversi. Ascoltare musica dopo aver finito di creare è la mia gioia personale.
Affermi che sin da piccolo sei stato a contatto con elementi della cultura occidentale, dalla musica jazz alla rivista Playboy, difatti l’improvvisazione e soggetti come le Pin-up sono entrati nella tua pittura ben presto. Al contrario, invece, quanto c’è, se ce ne è, di giapponese nel tuo approccio alla pittura, a riguardo di temi, tecniche o soggetti?
Penso che YMO e Takashi Murakami siano riusciti a sfruttare strategicamente l’immagine del Giappone vista dall’Occidente, ma io non ho affatto questo concetto. Sono giapponese, ma tendo a fare molta attenzione all’inserimento di elementi giapponesi nel mio lavoro. Provo un forte senso di disagio quando vado alla reception di una galleria d’arte indossando un kimono.
Veduta installativa di Gumbo, Tomoo Gokita, Fondazione ICA Milano
Veduta installativa di Gumbo, Tomoo Gokita, Fondazione ICA Milano
Tomoo Gokita, Onsen Therapy, 2024, acrilico su tela
Tomoo Gokita, Spy, 2024, acrilico su tela
Veduta installativa di Gumbo, Tomoo Gokita, Fondazione ICA Milano
Ph. Andrea Rossetti – Courtesy Fondazione ICA Milano