Lydia, so che vivi tra Algeri e Barcellona: dove ti trovi attualmente? Puoi parlarmi del tuo spazio di lavoro lì?
Ora mi trovo a Barcellona. Sono appena tornata da Algeri, dove ho inaugurato una mostra con rhizome presso Les Ateliers Sauvages. È stata la prima volta che ho esposto il mio lavoro in Algeria. Il giorno dopo l’inaugurazione ho tenuto una conferenza a cui hanno partecipato molte persone con cui ho lavorato a stretto contatto per i miei due ultimi progetti: il film “Tassili” e “Barzakh”, un’installazione che ha comportato lo spostamento dell’intero contenuto dell’appartamento che avevo affittato, con un percorso iniziato da Algeri a Basilea, Marsiglia, Ghent e poi di nuovo indietro. C’era anche Nadira Laggoune, che era la direttrice del Museum of Modern Art of Algiers, che è anche la ragione per cui mi sono trasferita in quel luogo. È stato un momento importante per trascorrere del tempo con alcune persone e parlare di tutti i progetti che sono legati e iniziati ad Algeri.
Alla fine posso lavorare da qualsiasi luogo… ho solo bisogno di un computer e di un telefono.
Non riesco a smettere di pensare alla tua mostra “Barzakh”, che affrontava i temi dello spostamento, del confine, del territorio e dell’idea di Stato-nazione. La domanda principale era: cos’è che rende tale una casa? È possibile definirla? È un costrutto immaginario?
Questa domanda rimane ancora irrisolta. Il tentativo di capire cosa significhi casa per me è stato ciò che ha dato senso a questo lavoro. “Barzakh” significa limbo; è uno stato di conoscenza-sconoscimento, ed è lì che ho sempre vissuto, anche se con la parola “vivere” non si intende dove si trova il tuo corpo. I punti di riferimento di ognuno di noi, infatti, si estendono tra diversi luoghi e tu comprendi la tua posizione solo attraverso quelle distanze.
Torniamo al 2018, quando ho visto per la prima volta il tuo lavoro “In The Absence of Our Mothers” alla Chisenhale Gallery. È stato impressionante il modo in cui sei riuscita a “proiettare” un trauma personale su un livello più ampio e collettivo. Mi chiedo se il dente d’oro sia ancora nella tua bocca.
Sì, è ancora lì ed è sempre molto presente. È buffo perché il processo o la natura di quel lavoro ha alterato in modo permanente il mio corpo. Naturalmente sapevo che ci sarebbero state delle conseguenze: un corpo estraneo, dalla forma imperfetta, è stato introdotto nella mia bocca. Adesso c’è un piccolo spazio tra quel dente d’oro e il dente vicino e questo causa alcuni problemi che ora devo risolvere. Ma, come ogni gesto comporta sempre delle conseguenze.
Torniamo al tuo progetto più recente, “Tassili”, girato in un altopiano del Sahara in Algeria. Nel film non viene mostrata nemmeno una persona, eppure si parla di molte forme di vita che in precedenza erano presenti in quel luogo. Come hai deciso di (ri)visitare un luogo così off-limits?
In realtà non è più off-limits da quando è stato girato il film. Nel dicembre 2022 è stato annunciato che l’altopiano è aperto anche ai visitatori esterni. È possibile volare direttamente all’aeroporto più vicino, Djanet, e ottenere un visto all’arrivo. È in atto un cambiamento epocale per quel luogo.
La scorsa settimana ho incontrato Ahmed alla mia inaugurazione; è la guida che ci ha portato sull’altopiano quando ho realizzato l’opera. Abbiamo dovuto affrontare molta burocrazia per raggiungere quel luogo e ottenere il permesso di filmare, perché non era mai stato girato nulla su quell’altopiano. Il progetto è stato possibile grazie alla collaborazione tra il Ministero della Cultura e il Parco Nazionale del Tassili. La cosa curiosa è che Ahmed mi ha confessato che di recente ha accompagnato un gruppo di turisti svizzeri proprio sul quell’altopiano, facendomi capire che la realtà di quello spazio è già cambiata in modo significativo.
Pensi che sia stato il tuo lavoro a creare quest’apertura?
Non credo che il mio lavoro abbia contribuito a questo cambiamento. Posso solo ipotizzare che, grazie al progetto, si siano resi conto che l’altopiano poteva essere visitato in sicurezza. Suppongo che le precedenti restrizioni siano legate al fatto che la Regione confina con la Libia, dove qualche anno fa sono sorte tensioni. I giornalisti hanno cercato di entrare e di raccontare storie sul traffico di esseri umani, essendo anche una rotta migratoria tra l’Africa subsahariana, il Nord e l’Europa. Questo inquadra il lavoro in modo diverso a posteriori.
Cosa succederebbe se il paesaggio cambiasse significativamente a causa dell’intervento umano? Ovviamente non può essere visitato in massa, perché bisogna arrivarci camminando e solo poche persone sono in grado di attraversare quella regione. Quindi rimarrà relativamente limitato in termini di accesso. Penso alle riprese che abbiamo girato sull’altopiano e al modo in cui sono state rielaborate. Queste immagini potrebbero essere le ultime a mostrare lo spazio così com’era.
È stimolante come i processi artistici possano attivare una tale catena di azioni associate alla valorizzazione del paesaggio… La mostra è in corso anche alla Mercer Union di Toronto e ha viaggiato, tra le altre istituzioni, dalla Fondation Louis Vuitton di Parigi e alla Nottingham Contemporary. In che modo il lavoro viene influenzato da questi diversi contesti?
Sicuramente, ogni volta si ha a che fare con un pubblico diverso. Sebbene abbia viaggiato in istituzioni prevalentemente occidentali, la percezione, ad esempio ad Algeri, è stata diversa perché tutti sanno cos’è “Tassili”, quindi ha bisogno di una minore contestualizzazione. Ma è stato comunque accolto con lo stesso tipo di meraviglia che hanno avuto a New York, Toronto, Tunisi o Parigi, dove il pubblico ha avuto la sensazione di vedere le immagini esclusive di un preciso luogo per la prima volta.
La nostra guida Ahmed è nata sull’altopiano. Quando ha visto il film, è rimasto sorpreso dalla definizione delle immagini: gli sembravano nuove, come se potessero essere ovunque, e allo stesso tempo gli sembravano familiari. Ha parlato dell’uso di una colonna sonora elettronica occidentale e di come questa giustapposizione orale abbia accentuato una liberazione delle immagini.
Che mi dici delle tue prossime mostre? C’è qualche nuovo progetto che vorresti condividere con me?
Sto preparando una mostra presso Ordet, uno spazio milanese gestito da Edoardo Bonaspetti. Edoardo è anche il direttore artistico della Fondazione Henraux, una cava di marmo vicino a Carrara. Così, quando mi ha invitato a esporre a Milano, ho subito pensato al potenziale di questo materiale. Sono particolarmente interessata alle fragilità del materiale creati dai metodi di estrazione contemporanei. Quando vengono tagliati dei pezzi dalla montagna, il materiale rimanente esercita una pressione su se stesso nel tentativo di rimanere al suo posto. Sto quindi considerando questa fessura come un punto di partenza.
Photo: Jeano Edwards
Lydia Ourahmane, Installation view: Barzakh, Kunsthalle Basel, 2021, Courtesy of the artist. Photo: Philipp Hänger / Kunsthalle Basel
Lydia Ourahmane, Installation view: Barzakh, Triangle – Astérides, centre d’art contemporain, Friche la Belle de Mai, Marseille, 2021, Courtesy of the artist. Photo: Aurélien Mole
Lydia Ourahmane, X-ray scan, text, two 4,5g 18 karat gold teeth — one of which is permanently installed in Lydia Ourahmane’s mouth, Courtesy of the artist and Chisenhale Gallery, London. Photo: Andy Keate
Lydia Ourahmane, Tassili, 2022, 4K video, 16mm transferred to video, digital animation, sound, 46:12 minutes. Installation view: Lydia Ourahmane: Tassili, SculptureCenter, New York, 2022, Courtesy of the artist. Photo: Charles Benton. Commissioned and produced by SculptureCenter, New York; rhizome, Algiers; Fondation Louis Vuitton, Paris; Kamel Lazaar Foundation, Tunis; Mercer Union, Toronto; and Nottingham Contemporary.
Lydia Ourahmane and Yuma Burgess, Untitled (detail), 2022, Photogrammetry, generative adversarial network, polylactide thermoplastic, anodized steel, 56,9 x 269,2 cm. Installation view: Lydia Ourahmane: Tassili, SculptureCenter, New York, 2022, Courtesy of the artists. Photo: Charles Benton
Lydia Ourahmane and Yuma Burgess, Untitled, 2022, Photogrammetry, generative adversarial network, polylactide thermoplastic, anodized steel 56,9 x 269,2 cm. Installation view: Lydia Ourahmane: Tassili, SculptureCenter, New York, 2022, Courtesy of the artists. Photo: Charles Benton