Come artista indiana-americana di prima generazione, Melissa Joseph tramette nelle sue opere la stessa importanza attribuita ai gesti delle mani nella cultura indiana, come veicoli di esperienze di vita, legami e storie.
Tutta la sua pratica sembra essere infatti guidata da un profondo desiderio di tattilità e contatto, e di esplorare sensualmente materiali e tecniche spingendone le potenzialità espressive come veicoli di memorie collettive ed esperienze condivise.
Attraverso una vasta gamma di media, il suo lavoro indaga l’infinito tentativo umano di affermare e lasciare una traccia, e di rivendicare la propria posizione esistenziale attraverso il “fare”.
In questo senso, la sua pratica basata sui processi sembra riflettere come tutte le interazioni dialettiche che stabiliamo con i diversi materiali attivino il potere creativo delle nostre menti per creare e dare un senso al mondo, attraverso la creazione.
Melissa mi accoglie nel suo studio con un sorriso gentile e un atteggiamento sereno.
L’artista ama descrivere il proprio lavoro come un modo per mettere in contatto le persone e con le persone.
Conoscendola meglio, ci si rende conto come lei stessa abbia, prima di tutto come persona, questa grande capacità di connettersi immediatamente e di avvicinarsi agli altri esseri umani, con genuina energia ed empatia.
Intorno a noi, nello studio, c’è una serie di lavori realizzati con medium molto diversi, che riflettono le plridimensionalità e varietà della sua pratica.
Per questo motivo, l’artista confessa di preferire descriverersi come una creatrice di oggetti, più che una pittrice o una scultrice, nella volontà di trasformare gli oggetti in strumenti per collegare persone e storie.
In effetti, tutte le opere sembrano condividere un interesse onnipresente per la figura umana e le interazioni umane.
È abbastanza chiaro, sia dal lavoro e che dai racconti di Melissa Joseph, come la famiglia e le storie familiari molto importanti sia nella sua pratica, che nella sua scelta di diventare un’artista: suo padre, in particolare, chirurgo di origine indiana sposato con la madre americana, prendeva lezioni settimanali di pittura, ma ha anche sempre avuto questa particolare attenzione per il suo abbigliamento e i suoi accessori, che lei ritiene abbia contribuito a renderla molto consapevole fin da bambina delle diverse qualità dei tessuti e della loro lavorazione.
È probabilmente a causa di queste influenze paterne che Melissa ha finito per avere un background piuttosto misto tra Belle Arti e Arte Tessile: ha conseguito un BA in Individualized Study presso la New York University nel 2003 e un Associate’s in Textile Surface Design presso il Fashion Institute of Technology nel 2006, concludendo con un Master in Art Education presso la Rhode Island School of Design, che l’ha portata all’insegnamento dell’arte, ma le ha anche offerto pretesti per approfondire lo studio e la sperimentazione con i tessuti e i materiali morbidi in particolare.
Solo nel 2016, a seguito alla morte del padre, Melissa Joseph ha deciso di perseguire la sua carriera di artista a tempo pieno.
Oggi, le sue opere figurative in feltro sono quelle per cui l’artista è sicuramente più conosciuta.
Il feltro bagnato è una tecnica piuttosto antica, mi spiega, che può essere fatta risalire alle prime civiltà del Medio Oriente, ed è stata a lungo utilizzata in luoghi come la Siria e la Turchia anche come metodo di costruzione in quanto materiale molto malleabile, ma isolante e resistente.
Il feltro ha una lunga storia e una tradizione davvero affascinante di metodi di costruzione e di vita dell’uomo, con cui lei voleva entrare in contatto.
Mi spiega come abbia imparato e sviluppato la sua conoscenze di questa tecnica guardando soprattutto video online.
Questo medium particolare le ha finalmente permesso di conciliare la pittura con l’arte tessile: il modo in cui realizza le immagini è infatti molto pittorico, ma con i tessuti.
Mi mostra il processo, giocando con diversi pezzi di feltro colorato: lo bagna e compone la figura, aggiungendo l’applicazione dei diversi pezzi, poi lo arrotola in modo che le fibre si uniscano. Srotolando, si ottiene la figura.
Mentre mi svela il processo, mi rendo perfettamente conto di come questa tecnica risulti, sia in termini materiali che concettuali, il metodo perfetto per esprimere il suo bisogno di trasformare nebulosi ricordi subconsci e nostalgiche storie di famiglia, in qualcosa che possa ancora essere maneggiato manualmente, per riconnettersi fisicamente con loro.
Melissa mi spiega che, come la maggior parte delle tecniche che le piace esplorare e utilizzare, in tutto il processo c’è una tensione costane tra caso e controllo: compone un’immagine costruendo strati, ma poi la figura finale si forma parzialmente in modo incontrollato da una riconciliazione e riconnessione casuale di parti diverse.
Ciò conferisce un’affascinante qualità astratta, come se si trattasse di ricordi che riaffiorano su uno schermo mentale.
Poi, mi mostra lavora parallelamente anche con il feltro ad ago, che le permette un controllo molto maggiore nel comporre plasticamente le figure.
Provenienti per lo più da archivi di famiglia, le scene rappresentate nelle sue opere affrontano temi come quelli della diaspora, della nostalgia della patria e della cultura d’origine e delle storie familiari che, al di là dei riferimenti personali, possono davvero risuonare con persone diverse.
A metà tra le sculture morbide e i dipinti su tessuto, la ero dimensione tattile invita ad un rapporto più intimo e sensuale nell’approcciarsi a queste opere, le quali appaiono liricamente intrise di questo sentimento di nostalgia e desiderio di riconnessione.
I feltri di Melissa sono tridimensionali, si espandono nello spazio con un volume che va oltre la superficie piana, come se cercassero di reincarnare questi momenti umani in oggetti che possono ancora incanalare una sorta di pelle e di sensazioni tattili, come condotti di esperienze vive del fare e del vivere.
A volte queste opere trovano il loro nuovo habitat all’interno di piccoli oggetti trovati, che amplificano ulteriormente questa dimensione memoriale e nostalgica delle immagini, e questa nostalgia di qualcosa che è già passato, o semplicemente troppo lontano.
Tali simulacri diventano, ancora una volta, una sorta di strumenti per viaggiare immaginariamente e ricollegarsi alle storie della sua famiglia in India, ma anche per mantenere questi manufatti oggetti simbolici abbastanza aperti, così da permettere allo spettatore di incanalare su di essi le proprie storie e i propri ricordi.
Grazie ad una recente esperienza di residenza presso la Archie Bray Foundation, Melissa ha potuto spingere ulteriormente la sua sperimentazione tecnica anche nell’ambito della ceramica, dando vita a composizioni analogamente astratte che, attraverso l’associazione intuitiva dello spettatore, rivelano intere scene.
Rimandando curiosamente agli affascinanti intarsi in pietra dura prussiana in cui le figure emergevano organicamente dalle venature e dai movimenti delle pietre, le opere in ceramica di Melissa Joseph seguono un processo organico di aggiunta e sovrapposizione di diversi strati simile a quello del feltro: lasciando che le scene emergano solo al termine della cottura, queste opere offrono un’ ulteriore prova dell’interesse dell’artista nel lavorare su questa continua tensione tra il suo controllo creativo, l’intuizione delle caratteristiche dei materiali e i risultati inaspettati del processo artistico e quelli fisici e chimici che interferiscono e si intersecano al suo interno
Essendo Melissa Joseph une sperimentatrice inarrestabile, possiamo aspettarci ancora molto dalla sua ricerca materiale ed emotiva attraverso i diversi media e processi.
Con grande libertà creativa, Melissa spinge continuamente oltre le possibilità espressive dei materiali, colmando le incongruenze ed indagando la capacità del fare umano come strumento di creazione, di creazione di luoghi e di occupazione esistenziale, ma anche di potenziale connessione tra individui di diversa estrazione culturale e storica.