La mostra Re/member Your House al Centre d’Art Contemporain Genève segna la tua prima grande retrospettiva europea, con un’ampia selezione di opere video e installazioni. Qual è il filo conduttore che unisce queste opere e cosa significa per te esporle in questa mostra?
Il filo conduttore che attraversa tutti i piani della mostra risiede nel suo titolo, che fa riferimento al titolo di un manoscritto di 30 pagine che James Baldwin lasciò incompiuto quando tornò in America da Parigi negli anni Sessanta. In un’epoca in cui le discriminazioni razziali sfociavano in omicidi e nelle lotte per la liberazione sessuale e artistica, Baldwin tornò nel luogo in cui era nato ma in cui era sempre stato respinto in quanto nero, artista e gay.
Ciò che inizialmente potrebbe apparire frammentario nel testo di Baldwin risuona in maniera profonda anche oggi, stabilendo un legame duraturo con gli eroi raffigurati nelle opere della mostra. Questi individui condividono una lotta comune: ridefinire la propria identità affrontando ostacoli insormontabili. Questi eroi affrontano le sfide con resilienza, sia che siano ostacoli derivanti dal colore della pelle, dallo status sociale, dalla disabilità, dalla mancanza di una casa o persino dall’affermazione della propria vita attraverso l’attività artistica.
All’interno dello spazio espositivo, il significato dell’ambientazione della mostra è correlato a quello delle opere d’arte e dei loro protagonisti. La curatela meticolosa di Andrea Bellini si sviluppa in Svizzera, in un luogo di confine, alle porte dell’Europa. Questo contesto funge da impercettibile ponte artistico, collegando eroi in lotta con il loro processo di integrazione in precisi “spazi territoriali”. Questi personaggi vivono in un perenne limbo, cercando di difendere il loro diritto alla memoria, valorizzando le loro origini e salvaguardando la loro libertà di movimento e di espressione.
Il tuo lavoro racconta storie di eroi quotidiani invisibili, spesso legate alle crisi sociali e politiche della Grecia. Come credi che queste narrazioni parlino alla società europea in generale?
Sono stato affascinato dall’allestimento della mostra, cuarata da Andrea Bellini, perché racconta abilmente la realtà greca, discostandosi dalla rappresentazione convenzionale che si trova nelle guide turistiche. È un microcosmo profetico e rappresentativo, che offre spunti di riflessione sulle nuove condizioni che si stanno affermando a livello mondiale. Attraversando le installazioni multimediali nei vari piani, i visitatori si immergono in modo esperenziale, in storie e paesaggi spesso trascurati o volutamente ignorati, incontrando gli stereotipi, le falsità e i fraintendimenti che di solito ammantano e distorcono questa realtà.
Decisioni strategiche, tra cui la collocazione delle opere d’arte, l’illuminazione meticolosa e i dettagli volutamente nascosti, costruiscono collettivamente un universo infinito. Questo spazio non solo rinnova il legame dell’arte contemporanea con la realtà e la storia, ma concede anche agli spettatori la libertà di navigare e trarre conclusioni personali. La soluzione ponderata di Bellini di creare una vera e propria piattaforma spaziale per queste opere e per gli eroi (antieroi) “invisibili”, spesso trascurati, è lodevole. L’esposizione svela una Grecia vitale, imprevedibile, critica e dinamica, creando un dialogo con il concetto di frontiere e confini, che torna a Ginevra, dove Kapodistrias, il primo sovrano della Grecia moderna, l’aveva immaginata.
Anche il manifesto della mostra si allinea a questa narrazione: la bandiera greca, raffigurata in diversi colori con una vistosa striscia mancante, simboleggia una narrazione più profonda. Ciò che si svolge nel mondo degli eroi della mostra non è una storia isolata, confinata ai margini dell’Europa, ma getta luce su dilemmi critici che risuonano in tutto il continente.
Molti dei tuoi film hanno come sfondo Atene, e uno che mi ha particolarmente colpito è stato MY POINT OF VIEW VS YOUR LENS, che presenta il punto di vista di un cane randagio di nome Benji che ha ripreso le proteste del 2011 a Piazza Syntagma. Offre una prospettiva fresca e inaspettata del paesaggio urbano. Sono curioso di sapere qual è il motivo che ti spinge a tornare nello spazio pubblico…
Il terzo piano della mostra è caratterizzato da una narrazione toccante, che inizia con un uccello che cresce nell’arco di cinque anni all’interno della cella di una prigione e si conclude con il racconto di un cane randagio che partecipa attivamente alle proteste nella piazza principale della città, inserendosi senza paura – attraverso i latrati – negli scontri tra agenti di polizia armati e manifestanti. La passeggiata non convenzionale del cane in mezzo al caos sfida le norme cinematografiche, trasformando le persone in figure quasi dipinte che ricordano Bacon e Kessanlis. Il suo movimento innesca dialoghi inaspettati con la fotografia, la pittura e le immagini in movimento che, un secolo fa, ridefinivano in maniera febbrile il realismo nelle arti.
All’interno della stessa piazza, uno spazio pubblico adottato come casa, il cane randagio diventa un regista, catturando ore di filmati per l’opera finale della mostra. Il cane sfida le prospettive convenzionali valutando in modo critico i registi, il nostro sguardo e l’incapacità di catturare tutto per perseguire una potenziale concetto di immortalità. Nel vivace paesaggio urbano di Atene, dove sono scoraggiato da coloro che sono confinati in case protette da tende da sole perennemente abbassate, il cane randagio impartisce lezioni di vita sulla libertà e sull’audacia. Ridefinisce il concetto di casa, superando le barriere tradizionali come i muri e i confini, stabilendo una “casa” all’aperto nel vivace centro di una grande città, proprio davanti al suo parlamento, tra i manifestanti e il tumulto esplosivo delle bombe della polizia.
Il “Cinema Dynamo” sala cinematografica del museo proietta attualmente film di finzione e documentari selezionati, oltre a una serie di cortometraggi. Rivedere ROM (1989), salutato come un film cardine del documentarismo greco, è stata un’esperienza emozionante per me, soprattutto grazie alla suggestiva colonna sonora di Nikos Kypourgos che scava abilmente nella vita dei Rom. Come ti senti quando rivedi opere passate come questa?
La verità è che il film ROM non mi ha mai permesso di dimenticarlo o di prenderne le distanze, perché ha vissuto tre vite diverse. Il suo ultimo capitolo è iniziato quando La Cinémathèque française lo ha acclamato come opera d’avanguardia di grande valore. Da allora, è stato proiettato in tutto il mondo, suscitando discussioni coinvolgenti. In questi incontri, più che parlare, ascolto, ponendo domande provocatorie che suscitano risposte interessanti. Fortunatamente, i film, una volta terminati, acquistano autonomia dai loro creatori, formando un legame diretto con il pubblico. L’ho percepito con il film di finzione J.A.C.E. – Just Another Confused Elephant, proiettato all’ultimo piano del Centre d’Art Contemporain Genève. La decisione del curatore Andrea Bellini di concludere la mostra in una sala cinematografica con una selezione dei miei film dal 1986 a oggi ha creato un dialogo essenziale tra cinema e arte contemporanea. In quella sala si è creato un notevole spazio di libertà, dove ROM è stato proiettato per la prima volta senza la censura imposta dalla Televisione Pubblica Greca nel 1989. Bellini ha avviato una grande tradizione nel museo, proponendo allestimenti innovativi per le opere di video arte. Il nostro dialogo ha aperto anche nuove prospettive sul futuro del mio lavoro.
In un toccante omaggio al tuo amico Stelios Faitakis, uno straordinario pittore greco che ci ha lasciato di recente, la tua mostra comprende una sala speciale in cui sono esposti quattro dei suoi dipinti. Mi interessa conoscere il legame che condividevate e il significato che la vostra amicizia ha nella tua vita.
Ho conosciuto Stelios Faitakis dopo un’intervista del 2007 in cui mi ha nominato uno dei due artisti greci in cui più credeva. Gli ho detto che si sbagliava, dando inizio a una conversazione sull’arte, sui segreti dei pittori bizantini e sulla nostra comune convinzione che tutta l’arte sia politica. Eravamo d’accordo sul fatto che gli artisti devono essere attivisti in costante interazione con l’ambiente circostante. Il nostro dialogo è continuato attraverso vari mezzi: radio, lunghi messaggi scritti, mostre e film. Le nostre discussioni mi hanno spinto a studiare come l’immagine in movimento potesse estendersi al di là del cinema, negli spazi artistici e nella sfera pubblica. Faitakis mi ha spesso incoraggiato a esplorare combinazioni e intersezioni tematiche “peccaminose”, come in un video sulla fede, l’agiografia e la commercializzazione della Vergine Maria. “Non è quello che faccio anche io?”, mi rassicurava quando avevo dei dubbi. La convinzione (o la speranza) che gli artisti continuino a vivere dopo la morte, finché le loro opere vengono esposte, mi ha spinto a continuare il nostro dialogo in questa mostra di Ginevra. L’allestimento delle sue opere è stato complesso; guardandole, mi sono reso conto per la prima volta che Stelios non avrebbe mai più dipinto. Mi dà gioia quando i visitatori si fermano davanti alle sue opere, osservando, fotografando e offrendo interpretazioni di quelle scritte e di quei volti.
Oltre alla tua retrospettiva, il Centro presenta the AfroGreeks, un progetto del collettivo Døcumatism. Puoi presentarmi questo progetto e la tua collaborazione con la curatrice, Grace Chimela Eze Nwoke?
Si tratta di un progetto a cui mi sono dedicato per anni come membro di Døcumatism, con l’obiettivo di sfatare l’etichetta di “ghetto” dal mio quartiere, Kypseli. Il progetto rappresenta una piattaforma per la vivace e variegata comunità di greci di diverse provenienze. Attraverso processi collettivi, condivido ed esploro modi alternativi di coesistenza, coinvolgendo persone di origini diverse o integrando immagini in movimento con azioni pubbliche.
Nel 2015, il film ha affrontato sfide di natura economica che hanno portato a un modello unico in cui il video, dalla produzione alla distribuzione, unisce azioni pubbliche, dialoghi e incontri. Questo modello offre una piattaforma per gli eroi di quei racconti e gli artisti che partecipano attivamente alla produzione del film, formando un collettivo in cui il sostegno reciproco, l’apprendimento, il disaccordo, la ridefinizione e l’espressione sono al centro della scena. La figura chiave di questo gruppo e di questo progetto è la performer e antropologa Grace Nwoke che, in qualità di curatrice a Ginevra, presenta un’introduzione al lavoro attraverso materiali di ricerca, video e azioni dal vivo durante la mostra.
the AfroGreeks è un progetto comunitario collettivo in corso che sarà presentato sotto forma di installazione video integrata da eventi dal vivo, workshop, discussioni aperte, proiezioni di film, collaborazioni comunitarie e altre azioni. L’obiettivo è quello di amplificare le voci degli “invisibili” di Atene, che rivendicano la loro identità di greci di origine africana.
Questa progettazione di Døcumatism è iniziata nel 2015, dando il via a discussioni pubbliche a Kypseli nel 2019 sulla comunità africana ad Atene. Il progetto prevedeva installazioni nella biblioteca per immigrati “We Need Books” e nella Chiesa cattolica, accompagnate da eventi paralleli organizzati dalla comunità africana. Il progetto ha ottenuto visibilità, soprattutto attraverso Instagram, ed è stato ricondiviso dai giovani di origine africana che erano curiosi di conoscere le dinamiche di questa ricerca.
the AfroGreeks ha visto come protagonisti 200 afro-greci che vivono e lavorano in Grecia, affermando con orgoglio le loro origini, rivendicando il loro diritto di essere artisti e cercando di esprimere se stessi. Il loro coinvolgimento creativo nel progetto collettivo fornisce una base per contrastare il razzismo attraverso l’arte, consentendo loro di diventare visibili e di dichiarare la propria identità artistica. L’obiettivo generale è quello di creare un archivio, il primo resoconto della storia della comunità africana in Grecia nel XX e XXI secolo, da integrare nella narrazione nazionale e nella storia greca.
Il progetto è significativo per i suoi protagonisti e per gli artisti che vi partecipano, in quanto questa parte della comunità greca vengono “riconosciuti” come greci attraverso procedure artistiche. Come artisti, si impegnano in laboratori che li mettono in contatto con la loro storia e il loro passato. Una “task force” che opera come parte del progetto, intervenendo su questioni cruciali e affrontando le sfide quotidiane che questi eroi quotidiani devono affrontare, tra cui questioni le burocratiche e tutti gli iter procedurali.
Menelaos, vorrei concludere con una domanda sulla tua mostra personale Dance your way around us alla galleria RODEO del Pireo all’inizio di quest’anno. Devo ammettere che ho visitato questa galleria più volte, restando incantato dalle due opere che raccontavano storie di donne su rituali, potere e fede. Durante questa contemplazione, ho continuato a chiedermi: “Dov’è che avviene il miracolo?”.
Sylvia Kouvali ha fornito la risposta nel suo testo scritto per la mostra, affermando che il miracolo si manifesta praticamente attraverso l’imprevedibile allestimento della mostra stessa. Mi domando ancora come sia nata quest’esposizione, con quelle opere uniche, e come il monumentale RODEO sia stato trasformato in una sala cinematografica del futuro. La galleria ha saputo trasformare i suoi spazi in un cinema, diventando anche un ambiente pubblico coerente e interattivo, dove gli spettatori potevano danzare e dove la pittura assumeva dimensioni scultoree, dialogando in modo dinamico con le immagini in movimento.
Mi riferisco alle straordinarie opere di Apostolos Georgiou nell’adiacente mostra di RODEO, che si sono confrontate con Dance your way around us. Il miracolo sta forse in questa apertura: quando l’arte mette a nudo le sue paure, favorisce un’intensa convivenza e un incontro magico con chi ama e crede sinceramente, anche se non lo ammette. Lì ho percepito il miracolo che attendeva noi, tutti noi, anche quando poteva apparire artificioso o costruito.
Continuerò a credere che un miracolo avverrà. L’ho individuato nella fede duratura e nella perseveranza. Questo è ciò che ha portato tutte le donne di questa mostra a rifiutare la commercializzazione della loro fede quotidiana e a rivendicare i propri miracoli.
View of the opening of Re/member Your House at Centre d’Art Contemporain Genève and of the performance Afrodance with the Roots, 2023
© Centre d’Art Contemporain Genève. Photo: Univers Plaza
Menelaos Karamaghiolis A Bird in Search of a Cage (still) 2012-2019 Video installation 11:28 min
Courtesy of the artist and RODEO
View of the opening of Re/member Your House at Centre d’Art Contemporain Genève and of the performance Afrodance with the Roots, 2023
© Centre d’Art Contemporain Genève. Photo: Univers Plaza
Exhibition view of Re/member Your House with the project the AfroGreeks by Døcumatism and a solo show by Menelaos Karamaghiolis at Centre d’Art Contemporain Genève, 2023
© Centre d’Art Contemporain Genève. Photo: Julien Gremaud
Menelaos Karamaghiolis
DANCE YOUR WAY AROUND US, 2023
Installation view at RODEO, Piraeus, 2023
Courtesy of the artist and RODEO