Pedro Reyes in dialogo con Elisa Carollo

Le opere in mostra fanno parte della serie Disarm, che reinventa in forma creativa e giocosa le armi che l’esercito messicano ha sequestrato ai narcotrafficanti nel corso degli anni. Sono molte le riflessioni socio-politiche che si possono associare a quest’opera: come spesso accade nelle tue opere, hai applicato la strategia estetica surrealista dello shock per creare accostamenti paradossali tra oggetti “negativi”, portati poi in un contesto completamente diverso, riuscendo a trasformare così anche delle armi in strumenti musicali. Un’opera spiritosa, provocatoria ma estremamente coinvolgente, per affrontare la realtà delle guerre e della violenza delle armi che è molto attuale. Può dirci qualcosa di più su cosa ha ispirato questo lavoro, come ci è arrivato, e in particolare sull’idea di poter usare le armi per creare una comunità?

Disarm mira a essere trasformativo non solo in senso fisico, ma anche in ambito psicologico e sociale. Le armi hanno un potere che è per definizione schiacciante, ma qui possono essere sconfitte dal processo artistico, il metallo che è stato progettato per uccidere ora produce musica. Dobbiamo avvicinarci a questo processo un po’ come gli uomini delle caverne, prendendo parti di armi e grattando, soffiando, avvolgendo e creando diversi arrangiamenti per estrarre suoni dall’acciaio. Per me questo è un processo alchemico, nell’alchimia si lavora con il nigredo, la materia oscura, ecco perché questo tentativo di trasformare la merda in oro, di trasformare le armi in musica. Le armi rappresentano il nostro lato oscuro, la nostra pulsione a uccidere, e la musica è l’opposto, è il linguaggio universale accessibile a tutti. Mi piace l’idea di questo cambio di polarità in cui lo stesso metallo è stato usato per una versione opposta a quella originariamente prevista.

Da Sanatorium (2011) in poi, il tuo lavoro ha spesso assunto la forma di esperimenti e strumenti sociali, volti ad attivare le comunità e a guidarle prima verso riflessioni e considerazioni più intime e personali, estese poi recentemente a temi più universali riguardanti la società e il mondo in generale. È interessante notare che in contrasto con la pratica di altri artisti, in genere tu eviti qualsiasi approccio puramente aggressivo o sovversivo, preferendo opere che incoraggiano l’interazione, la partecipazione e talvolta persino la co-creazione con gli spettatori. Viviamo in un’epoca di iper esposizione mediatica a diverse informazioni e immagini che rendono le persone desensibilizzate, spesso non più in grado di distinguere il “tragico” dall’osceno e quindi totalmente scollegate dalle tragedie che accadono nel nostro mondo, che sembrano sempre così lontane e “altre”. Come credi che questo approccio più positivo e fiducioso nei confronti del pubblico possa lasciare segni ed effetti più profondi sulle persone, in modo non solo di sensibilizzare ma anche incoraggiare all’azione?

Credo che l’arte possa essere una forma di catarsi, catarsi in greco significa purificazione, cioè espulsione di una sostanza tossica dal corpo. A volte l’arte può essere violenta, non sono contraria a questo, penso che sia bene avere movimenti di violenza simbolica perché un atto violento inquadrato nel contesto di un progetto artistico può sostituire la necessità di compiere quegli atti di violenza nella vita reale, tuttavia è importante che ci sia un’elaborazione o un ripensamento per dare un senso alla violenza. Nel caso del lavoro con le armi ho dovuto fare molta attenzione perché se non è fatto correttamente potrebbe glorificare o romanzare proprio ciò che cerchiamo di stigmatizzare, quindi è per questo che mi preoccupo molto che la trasformazione sia significativa, uno strumento musicale è proprio questo, uno strumento, il che significa che è qualcosa che può essere usato per produrre nuovi pezzi di musica, quindi c’è una doppia creazione, una quando lo strumento viene creato e la seconda quando gli strumenti vengono eseguiti, che è già come un processo di affermazione della vita.

Da un simile approccio parte anche il tuo progetto recente volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo nucleare. Questo progetto ha trasformato la tua arte essenzialmente in una grande campagna globale, che opera tra installazioni artistiche e attivazioni in tutto il mondo, azioni collaborative e mostre, come il monumentale gonfiabile Zero Nukes (2020), presentato prima a Times Square a New York, e poi in tutto il mondo. Puoi dirci qualcosa di più sul tuo approccio a questo progetto/campagna nello specifico, e sul motivo per cui hai deciso di concentrarti sulla minaccia nucleare, che da anni è uno dei pericoli più grandi, ma spesso meno menzionati, e una guerra silenziosa tra Paesi, la cui competizione/conflitto si sta aggravando nel tempo?

Prevenire la guerra nucleare dovrebbe essere la priorità numero uno del pianeta, eppure è una causa che non riceve attenzione. C’è un’importante comunità di attivisti ma è relativamente piccola se la confrontiamo con altre cause, quindi per sostenere il lavoro urgente che queste organizzazioni fanno c’è qualcosa che l’arte può fare per aiutare ed è tradurre questi messaggi. In particolare, il disarmo nucleare è un approccio abolizionista: non si tratta di frenare o fermare la produzione di armi nucleari, ma di eliminarle tutte fino a quando non ci saranno zero armi nucleari. Così come abbiamo bandito le armi biologiche, le armi chimiche, le mine antiuomo, le più pericolose di tutte, le armi nucleari, dovrebbero essere completamente cancellate. Per trasmettere questo concetto ho deciso di concentrarmi sul concetto di Zero e ho fatto un esercizio di traduzione della parola “zero armi nucleari” in tutte le lingue che sono riuscito a trovare, che ha portato a slogan Zero Nukes collocati in diversi supporti come sculture gonfiabili e picchetti.

La ricerca e focus della tua pratica ha generato anche un nuovo video, Under the Cloud, 2023, prodotto in occasione della tua mostra al museo di Santa Fe e che abbiamo l’onore di presentare in anteprima in Europa. Il video intraprende un’indagine del progetto di produzione di armi nucleari negli Stati Uniti, e di come questi investimenti siano spesso legittimati in tutto il mondo dall’opinione pubblica come ricerca di energie alternative, mentre c’è invece una chiara minaccia non solo in termini di un potenziale conflitto che potrebbe distruggere l’intero pianeta, ma anche in termini di effetti attuali e di impatto drammatico sia sui territori che sulle popolazioni locali dove queste tecnologie, e le armi, vengono sviluppate e testate.  Puoi dirci qualcosa di più su questo progetto, su come è nato, su come l’ha realizzato e sul perché è così urgente affrontare apertamente questi temi oggi?

Lavoro sul tema del disarmo nucleare dal 2013, ma più intensamente dal 2019, quando il Bulletin of Atomic Scientists mi ha commissionato Amnesia Atomica. Come dice il Bulletin “mancano 90 secondi alla mezzanotte”, il che significa che non siamo mai stati così vicini a sperimentare una guerra nucleare nella storia dell’umanità. Ho realizzato Under The Cloud con i downwinders del Nuovo Messico, comunità che sono state colpite dai test nucleari ma anche dall’estrazione dell’uranio. Ciò ha reso la mia posizione un po’ più radicale, dato che prima ero contro le armi nucleari e ora diffido anche dell’energia nucleare, semplicemente non mi fido dell’umanità con qualsiasi cosa radioattiva. L’urgenza del disarmo nucleare è l’unica alternativa all’armageddon e ha anche a che fare con l’abbattimento del mito che le armi nucleari rendano più sicuri. Una volta che si è consapevoli di questi aspetti, è molto chiaro che l’energia nucleare non è pulita né verde, la permanenza delle radiazioni per migliaia di anni e l’impossibilità di tenere sotto controllo le perdite o gli incidenti o le esplosioni sono impossibili, questo dimostra quanto possa essere importante vedere le cose dalla prospettiva della visione del mondo indigeno.

PHOTO CREDIT

Pedro Reyes, Goodoo, 2011 – present.
Exhibition view, MAAT Lisbon, 2021. Photo: Vasco Stocker Vilhena
©Pedro Reyes and MAAT

Pedro Reyes, Disarm (Violin XII), 2016
Repurposed weapons
60 x 21 x 11 cm
©Pedro Reyes and Lisson Gallery

Pedro Reyes, Disarm (Guitar), 2016
Repurposed weapons
90 x 40 x 7 cm
©Pedro Reyes and Lisson Gallery

Pedro-Reyes, Sanatorium, 2014
ICA Miami
©Pedro Reyes and Lisson Gallery

Pedro Reyes, Zero Nukes, Installation view, Times Square, New York City, 2022
Photo: Pedro Reyes
©Pedro Reyes

Pedro Reyes, Zero Armi Nucleari, Exhibition view, Museo Nivola, 2022
Photo: Andrea Mignogna
©Pedro Reyes

BIOGRAFIA

Pedro Reyes (1972, Città del Messico, Messico). Vive e lavora a Città del Messico. Reyes lavora spesso a progetti su larga scala per parlare di questioni sociali e politiche attraverso sculture, performance e video. Reyes esplora i modi in cui il cambiamento può essere incoraggiato attraverso la comunicazione, la creatività, la felicità e l’umorismo. Ha tenuto mostre personali presso: MARTa Herford, Herford, Germania (2022); Museum of Contemporary Art of Monterrey, Monterrey, Messico (2022); Museum Tinguely, Basilea, Svizzera (2020); Creative Time, New York, USA (2016); Hammer Museum, Los Angeles, USA (2015); ICA, Miami, USA (2014); Walker Art Center, Minneapolis, USA (2011); Guggenheim Museum, New York, USA (2011); CCA Kitakyushu, Japan (2009); Bass Museum, Miami, USA (2008;). Ha partecipato a rassegne internazionali quali Biennale di Pechino, Cina (2014); dOCUMENTA (13), Kassel, Germania (2012); Liverpool Biennial, UK (2012); Gwangju Biennial, Sud Corea (2012); Lyon Biennale, Francia (2009); e 50° Biennale di Venezia (2003). Nel 2021 ha vinto il Luxembourg Peace Prize.

BIOGRAFIA

Pedro Reyes (1972, Città del Messico, Messico). Vive e lavora a Città del Messico. Reyes lavora spesso a progetti su larga scala per parlare di questioni sociali e politiche attraverso sculture, performance e video. Reyes esplora i modi in cui il cambiamento può essere incoraggiato attraverso la comunicazione, la creatività, la felicità e l’umorismo. Ha tenuto mostre personali presso: MARTa Herford, Herford, Germania (2022); Museum of Contemporary Art of Monterrey, Monterrey, Messico (2022); Museum Tinguely, Basilea, Svizzera (2020); Creative Time, New York, USA (2016); Hammer Museum, Los Angeles, USA (2015); ICA, Miami, USA (2014); Walker Art Center, Minneapolis, USA (2011); Guggenheim Museum, New York, USA (2011); CCA Kitakyushu, Japan (2009); Bass Museum, Miami, USA (2008;). Ha partecipato a rassegne internazionali quali Biennale di Pechino, Cina (2014); dOCUMENTA (13), Kassel, Germania (2012); Liverpool Biennial, UK (2012); Gwangju Biennial, Sud Corea (2012); Lyon Biennale, Francia (2009); e 50° Biennale di Venezia (2003). Nel 2021 ha vinto il Luxembourg Peace Prize.

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