Nel suo processo artistico, Shuyi Cao pare abbracciare pienamente il principio dell’entropia che regna nel cosmo: materiali ed elementi sia organici che artificiali si uniscono con le loro diverse proprietà, storie e origini per fondersi e scontrarsi in combinazioni apparentemente organiche e fluidamente eclettiche. Nella sua pratica, l’artista abbraccia l’ibridazione come unica condizione filosofica, biologica ed esistenziale possibile, per creare in armonia un cosmo in cui la materia e le energie sono in continua trasformazione.
Probabilmente è per questo che le sue composizioni scultoree si sviluppano e si evolvono in maniera intuitiva, secondo un processo spontaneo e organico che si arrende e abbraccia l’apparente casualità della natura e alla fine risponde a un ordine cosmico universale indecifrabile per gli esseri umani.
Abbiamo incontrato l’artista in un pomeriggio di fine gennaio a New York, dove l’inverno ha preso il sopravvento da settimane. Lo studio di Cao si trova in un complesso a Bushwick che avevamo già visitato in occasione di precedenti conversazioni. Si tratta di un edificio multifunzionale proprio al confine tra Bushwick e Bed-Stuy, che deve ricordarle un edificio industriale in Cina, dove l’artista è cresciuta.
Una volta che la conversazione raggiunge il livello di agevolezza di uno scambio più spontaneo e familiare, apprendiamo che Cao si è originariamente trasferita negli Stati Uniti dopo un’improvvisa rivelazione avuta durante il suo periodo di studio a Milano che le ha fatto cambiare radicalmente vita, rivolgendosi all’arte rispetto al suo percorso iniziale in amministrazione pubblica e gestione. “L’arte in Europa è ovunque. A Milano ho capito per la prima volta che si poteva vivere di arte e creatività”, racconta l’autrice,”all’epoca ero molto giovane e positiva e ho deciso di seguire le mie inclinazioni artistiche”.
Pur disegnando fin dall’infanzia, Cao non si era mai avventurata seriamente nella creazione di opere d’arte prima di quel momento. È stato però nel periodo in Italia che l’artista deve aver sentito una sorta di chiamata che l’ha portata a perseguire qualcosa che era già in qualche modo destinato a lei, anche se ancora non lo sapeva. Nessuno nella sua famiglia infatti si era mai occupato o interessato di arte o incoraggiava le inclinazioni artistiche: suo padre è un chirurgo, ci racconta, che applica la medicina occidentale sul lavoro, anche se a casa continua a esplorare e ad affidarsi ai rimedi della medicina tradizionale cinese.
Cao è finita negli Stati Uniti come passo iniziale che sperava l’avrebbe portata poi in Europa. Come spiega lei stessa, avendo già imparato a dipingere per preparare il suo portfolio per l’ammissione, ha pensato che almeno avrebbe evitato di imparare una nuova lingua se avesse studiato negli Stati Uniti, parlando già inglese.
Quando ha preso questa decisione, Cao è diventata un’artista autodidatta. “Oggi si può imparare la maggior parte delle cose su Youtube”, commenta, ed è grazie a tutto questo che ha iniziato a entrare alla Parson con i suoi primi dipinti a olio. Anche i suoi studi, come ammetterà in seguito, non le hanno dato molto in termini di tecnica, poiché si sono concentrati soprattutto sulla teoria e sulla critica.
Come nota Cao, la maggior parte del suo apprendimento nel campo dell’arte è derivato da un’esplorazione inquieta e molto intuitiva dei processi e dei materiali che ha scelto, soprattutto quando ha iniziato a fare diversi apprendistati come assistente di studio o in scenografia. “Credo sia questo il motivo per cui combino così tante tecniche e materiali diversi nella mia pratica artistica”, commenta l’artista.
Anche le sue composizioni scultoree in ceramica nello studio sono spesso parti di forme precedenti che ha cotto all’esterno e che potrebbero essersi rotte durante il processo. Tuttavia, lei continua a usare e a riciclare in nuove opere. “È costoso affittare un forno, quindi anche se qualcosa è rotto, non lo butto mai via. La lascio lì. Poi, qualche settimana dopo, si trasformano in nuovi pezzi”, commenta l’artista. Il frammento rotto viene utilizzato per nuove configurazioni, dove elementi naturali e artificiali e reliquie possono incontrarsi, fondersi e coesistere.
Quando visitiamo l’artista nel suo studio, le opere presenti spaziano dalle sue sculture in ceramica, che integrano reliquie organiche, a nuove composizioni multimediali in vetro riciclato montate a parete e a piccole entità scultoree astratte in vetro soffiato sul retro.
Ma soprattutto, l’artista dispone di un intero archivio di materiali organici e artificiali frammentati che assomiglia a un atlante tassonomico del rapporto tra l’uomo e il mondo naturale. Allo stesso tempo, questo archivio fornisce all’artista un vocabolario personale di configurazioni formali e simboliche potenzialmente infinite.
Tutto ciò che vi è contenuto sembra ancora in fase di lavorazione e soggetto a nuove potenziali trasformazioni e adattamenti. “Ho scoperto che ci sono così tante filosofie in natura che parlano del mio modo di lavorare”.
Come Cao suggerisce, nel suo processo artistico si sente più che altro un tramite, che incanala energie e forze verso nuove combinazioni di senso mentre osserva, studia e interpreta in modo molto intuitivo le diverse possibilità espressive e simboliche dei materiali.
In particolare, sperimentando composizioni non sensoriali e casuali, Cao raggiunge spesso un livello di complessità strutturale, stratificazione e fusione che, alla fine, sembra imitare o evocare processi organici già in atto in natura. “A volte penso di limitarmi a creare, mentre le opere riflettono le diverse strategie che gli esseri viventi adottano nel loro ambiente naturale”, spiega Cao, commentando come, attraverso questo processo, metta alla prova modelli alternativi di coesistenza ibrida.
Da come lo descrive Cao, il suo modo di fare arte è più che altro una co-creazione con la natura e i suoi materiali. “È come se collaborassi o giocassi con tutto ciò e creassimo qualcosa insieme”, commenta l’artista. “I materiali sono carichi di significato, sento che hanno tutti i segreti e tutte le cose dentro di loro, e allora non ho bisogno di essere la persona che articola o giudica. Mi limito a osservare”, dice, commentando come questi materiali incarnino e incorporino già strutture universalmente condivise tra le diverse entità del cosmo, a livello micro e macro.
“C’è qualcosa in questo materiale che potrei aver raccolto quattro anni fa e che ora si adatta e mi parla in modo diverso”, dice, mostrando alcuni frammenti di vetro che raccoglie da anni, ma che ha iniziato a lavorare solo di recente, per trasformarli in nuove composizioni pittoriche e prevalentemente astratte in vetro e metallo.
Per questo motivo, l’artista si è avventurata non solo nella ricombinazione fisica di materiali ed elementi, ma anche in processi chimici o alchemici che riguardano una struttura universale più molecolare della realtà tra elementi, processi e forze.
“Penso che molto del mio lavoro sia una sorta di trasformazione, di traduzione tra scale diverse”, dice l’artista, mentre ci mostra l’altro lato del suo studio dove sta sperimentando alcuni processi chimici che ha poi fotografato, svelando il potenziale estetico di questa composizione intrinsecamente astratta.
Questa trasmutazione della materia si estende anche al mondo digitale. Nelle sue opere video, immagini microscopiche si fondono con paesaggi generati dall’intelligenza artificiale e modellati a mano con un motore grafico interattivo, assumendo la forma di archetipi dei futuri resti di una tecnosfera interconnessa su scala globale. Le scene, dal carattere meditativo, rappresentano la metamorfosi dell’elemento inorganico nel tempo profondo, dal brodo primordiale fino alla coesistenza tra specie e intelligenze.
Per l’artista, la sua filosofia creativa, fondata sulla trasformazione della materia, si riflette nella transizione fluida tra il mondo fisico e quello digitale: «Collaboro con l’intelligenza naturale e con quella delle macchine, senza alcuna gerarchia tra loro. L’unità stessa che costituisce la nostra tecnologia ha origine nella pietra e nella polvere di stelle di cui tutti facciamo parte».
In particolare, adottando questo approccio incessantemente sperimentale alla realtà circostante, Cao è in grado di esplorare nuovi schemi nella frammentazione tra uomo e natura, tra tecnica e organico, testando nuove possibilità di coesistenza di elementi diversi che imitano e materializzano i processi di adattamento che già avvengono in natura.
Le entità scultoree di Cao sono anche per questo perlopiù astratte, anche se mantengono sempre intenzionalmente un certo livello di familiarità nel tradurre alcune strutture universali che si ripetono in natura. “Sono solo le mie impressioni su ciò che sento dell’ambiente circostante, impressioni. Forse è qualcosa di più astratto perché è più universale”, dice l’artista, ”Tuttavia, evito di guardare a specifiche immagini biologiche per realizzare il mio lavoro, perché sento che se hai un’immagine come riferimento, non puoi fare a meno di fare determinate associazioni. Voglio mantenere questa onesta incertezza nel lavoro, ma lascio anche una certa familiarità in modo che si possa ancora identificare l’originale. Tuttavia, mi lascio anche evolvere organicamente in nuove configurazioni”.
Sebbene il suo modo di descrivere l’approccio quasi divinatorio nelle forme segni la sua arte, sembra talvolta implicare una dimensione più sciamanica e spirituale. Cao sottolinea con cautela come lei sia in realtà cresciuta in una Cina molto secolare, che stava attraversando una modernizzazione e un’industrializzazione notevolmente accelerate, rifiutando o reprimendo la maggior parte della sua millenaria saggezza e conoscenza spirituale ancestrale. Tuttavia, questo contesto e questa tensione potrebbero aver ispirato l’artista a riflettere più profondamente sulla produzione e sul lavoro e su come gli interventi e le dinamiche antropologiche si siano a lungo scontrate con un ordine secolare di tutte le cose.
Come concordiamo, e probabilmente non a caso, questa tensione e questo tipo di riflessioni appaiono molto più presenti, comprese ed esplorate nell’arte contemporanea che emerge e viene meglio apprezzata in Asia e in Europa, rispetto agli Stati Uniti, che probabilmente non ne hanno mai fatto esperienza, essendo fondati e strutturati fin dalla loro prima identità e sviluppo su questi principi di progresso incentrati sull’uomo.
C’è ancora qualcosa di profondamente rituale, infatti, nel modo in cui Cao si avvicina al suo “fare artigianale”, soprattutto quando, come un’alchimista, con le diverse reliquie di vetro esplora le loro possibili trasformazioni chimiche, bruciandole per riportarle a una dimensione fluida da trasformare in nuove composizioni estetiche e simboliche di senso. “Ho iniziato cercando di capirne le proprietà, poiché tutti reagiscono in modo diverso, in base alla loro composizione”, ha spiegato l’artista. È chiaro che per Cao indagare le trasformazioni dei materiali è spesso molto più importante della forma finale.
Alcuni dei suoi lavori più recenti aggiungono un altro aspetto multisensoriale, esplorando come i materiali possano funzionare come resti di interi ambienti. Le bobine raccolte durante un recente progetto in Kazakistan cercano di combinarsi per riassemblare più acchiappasogni o strumenti antichi, dove il suono della natura e di un oceano un tempo desertico può manifestarsi nuovamente attraverso le sue reliquie archeologiche naturali.
Ancora una volta, anche in queste opere, è chiaro come Cao stia esplorando un livello di co-creazione con gli ambienti naturali.
A questo punto, è piuttosto chiaro il fatto che Cao descriva le sue opere d’arte come una sorta di ecosistema: all’interno e attraverso di esse, infatti, sta già testando come la produzione umana possa riallinearsi con l’ordine cosmico dei circoli naturali di creazione, trasformazione e distruzione, cercando di immaginare un possibile adattamento più armonioso tra la natura e l’Antropocene.