Yuval Avital – intervista

Nel tuo lavoro straordinariamente vario – concerti, performance o “riti musicali”, opere di video arte, fotografia, dipinti, sculture sonore o installazioni – sembra che tu sia costantemente preoccupato dall’idea di rimuovere le “false frontiere” tra i generi artistici. Se dovessi metterlo in parole, come definiresti i tuoi progetti artistici immersivi che mirano ad andare ben oltre le categorie artistiche convenzionali?

Innanzitutto, è doveroso sottolineare che lo sviluppo, la transizione, tra i vari linguaggi artistici non sono in realtà una scelta cosciente, ma piuttosto un’evoluzione all’interno del mio percorso umano ed artistico. Tutto è iniziato con le influenze della densità multiculturale e multi-stratificata di Gerusalemme, città dove sono nato e cresciuto, e dove per la prima volta ho conosciuto il mondo musicale, quello della parola e del teatro. Successivamente, concluso il periodo da solista classico, ho iniziato a includere nelle mie opere da palco elementi visivi. Dal 2008 le definisco icone sonore. Ho iniziato ad approcciarmi alla musica come elemento sonoro e materico; nascono così le istallazioni sonore, le opere di video arte e in seguito anche la fotografia, la scultura sonora e il dipinto. Penso che la radice dell’arte sia molto legata al rito, e il rito fin dall’antichità è un’opera totale, che include la performance, il suono, elementi visivi e scenici. Solo in un momento successivo è iniziata la separazione tra le arti. Per me la creazione parte da un istinto; parto da una “china”, da un progetto, dalla macchina fotografica e poi passo alla materia artistica più concreta. Allo stesso tempo, penso che vi siano sempre le stesse radici che legano tutte le mie opere: uomo, natura, mistero, l’esplorazione di una verità sommersa, la volontà di vivere l’opera senza compromessi. Alla fine, per me, se l’opera è bella o non lo è, o a quale stile fa riferimento, è un elemento secondario.

 

A novembre 2021 hai presentato Tracce umane, un progetto partecipativo globale che ha coinvolto 213 artisti provenienti da 50 paesi, al LOOP Barcelona. Per l’occasione hai creato per il pubblico uno spazio immersivo dove ogni spettatore potesse affrontare le proprie fragilità e paure, in una sorta di messa in scena del nostro mondo emotivo e dello shock dell’isolamento forzato che abbiamo vissuto durante la pandemia. Come descriveresti la reazione del pubblico e cosa ha rivelato questo lavoro partecipativo sulla nostra vita e percezione degli ultimi due anni?

Penso che Tracce umane sia profondamente legato al nostro essere animale, ai nostri istinti e desideri, vulnerabilità ed emotività, e al nostro essere persone che pregano, tremano, e che hanno bisogno di contatto. In Tracce umane la partitura non è altro che un affiancamento a questa vulnerabilità, al mettersi a nudo, malgrado non sia un nudo fisico ma un nudo emotivo. L’idea dell’opera è nata durante il primo lockdown, in un momento in cui sentivo che non usciva qualcosa di vero dai mondi contrastanti che convivevano dentro di me: solitudine, incertezza, tristezza, paura si scontravano con la potenza e la bellezza della natura che resisteva. Ho sentito che se non avessi trovato il modo di far uscire tutto questo sarei esploso, ed è da qui che è nata la mia prima traccia umana: il canto, il grido, il mantra. L’estetica virale è stata mandata come un messaggio in bottiglia in varie parti del mondo, collegando le due espressioni umane più primordiali, la voce e il gesto. L’opera-operazione si è svolta inizialmente online, poi fisicamente con la partecipazione a Manifesta 13 a Marsiglia e al Loop Festival di Barcellona. Dentro quest’ultima mostra era presente una dualità: da una parte un polittico di testimonianze sincronizzate dal cantus firmus, e dall’altra griglie domestiche create con oggetti di ogni tipo, ognuna con la propria identità. Il pubblico viveva e osservava l’installazione. La reazione è stata molto forte: alcune persone sono rimaste ore, altre hanno pianto. L’allestimento comprendeva disegni realizzati da me con il gessetto di iconografie legate ai mesi di reclusione per il Covid-19; lo scopo era dar voce a qualcosa che abbiamo passato tutti, e quindi in qualche modo lo spazio dell’esposizione è diventato anche un luogo di cura e di ascolto. Il Covid ha rivelato la nostra possibilità di entrare in connessione, e questo per me è uno spartiacque tra non scendere a compromessi e rivelarsi, mettersi in gioco e a nudo nell’arte eliminando ogni tipo di filtro. Ora ciò che voglio, lo faccio.

La musica – espressa sotto forma di composizioni, opere, danza, spettacoli o sculture sonore – sta alla base della tua ricerca artistica e sembra essere la linfa vitale segreta che riesce a legare tutte le altre tue forme d’arte in un unico insieme esperienziale. Raccontaci delle tue recenti composizioni e di come pensi che questi ultimi anni abbiano influenzato la tua musica.

La parte musicale della mia produzione si può dividere in quattro categorie: 1- il lavoro con i musicisti classici, che hanno seguito un percorso accademico di eccellenza; 2- il coinvolgimento dei portatori di tradizioni extra europee, a volte orali e antiche, con cui ho collaborato tra cui i samaritani, i nomadi kazaki, i cantori mongoli e sardi; 3- la musica elettroacustica e il suono elettronico, che può essere sia sintetico che vero ed elaborato successivamente; 4- il “rito”, cioè il lavoro con masse vocali, con musicisti non professionisti, per creare cori che usano la voce come strumento espressivo primordiale e che dal 2011 chiamo Crowd Music.
Spesso ci sono contaminazioni e sovrapposizioni tra le varie categorie, in particolare un elemento che appartiene sia alla seconda che alla quarta categoria è la parte del rivelarsi. Nel paradigma occidentale esiste una distanza costante tra il simbolo e ciò che questo simboleggia. Spesso non viene messa la tragedia sul palco, ma il simbolo della tragedia. Ciò che è tragico accade nel retroscena, da questo deriva il termine osceno, inteso come ciò che si manifesta fuori dalla scena. Non si porta sul palco la tristezza, la rabbia, la tragedia ma una sublimazione di queste emozioni. Nella cultura extraeuropea il performer diventa l’oggetto, la prefica diventa la tristezza, il lutto; lo sciamano diventa l’animale. Così, quando lavoro con non-artisti, tramite l’impiego di voce e suono l’opera finale diventa specchio di una verità interiore legata alla memoria o al momento, mentre con i musicisti classici ho fatto un lavoro immenso creando anche partiture empatiche in cui ci sono iconografie di stimolazione visiva che creano un coinvolgimento diverso da quello dell’esecuzione. Il concetto di esecuzione non mi appartiene, e questo è evidente in una delle mie ultime opere, Quartetto silenzioso, che sarà eseguita in prima assoluta nell’autunno 2023 al Teatro Comunale di Modena. In tale occasione, prima dell’esibizione il quartetto entra in un processo di reclusione artistica studiando la mia partitura classica About Birds, della durata di due ore, in cui pian piano, in un processo di performance totale e onirico, i musicisti diventano uccelli. Questo processo viene documentato anche tramite filmati e fotografie, diventando parte dell’opera, come un’opera dentro un’opera, e mettendo in discussione il concetto di sfera intima e sfera pubblica. Due esempi che si discostano da questo sono: il lavoro fatto con Daniel Libeskind per il London Design Festival dal titolo Meditazioni su Theatrum Mundi, in cui ho riletto la serie di disegni di Libeskind realizzata negli anni ’80, in cui immaginava un’epidemia non virale ma spirituale che colpisce le città. Li rileggo, come una partitura, utilizzando anche materiali preregistrati delle mie opere per fisarmonica, per elaborare un’opera sonora elettroacustica di 50 minuti. In questo progetto entra un altro aspetto della mia creatività riconducibile alla volontà di codificare, di decifrare, e definire uno spazio sonoro come un ambiente, come fa la luce in una stanza. Altro esempio che vorrei citare è l’opera che ho scritto per un ensemble di rondalla, cioè strumenti a corde pizzicate delle Filippine intitolato Night Been. Questo lavoro commenta e, in qualche modo, prende ispirazione dalle credenze animiste e quelle degli spiriti presenti in molte delle isole filippine; luogo in cui sono stato tre volte e dove ho realizzato opere che hanno coinvolto musicisti tradizionali. Questa è una partitura classica che parla di qualcosa che attinge alle radici, molto misterioso ed estremamente viscerale.

 

Qual è la tua prospettiva sul futuro a breve e lungo termine? Come immagini che si evolva la tua arte nei prossimi anni?

Nel breve e medio termine, ossia nel 2022/2023, sono previste numerose attività che spaziano da esposizioni in gallerie a mostre museali, da performance teatrali a opere musicali; sarà un periodo molto denso, al limite della saturazione, ma ricco di progetti per me sfidanti che mi faranno sicuramente crescere. Ogni opera, dentro la quale metto il mio pensiero e le mie mani, diventa automaticamente la cosa più importante e centrale della mia vita, quasi come un’ossessione; si fa viva in me una volontà di emergere e scomparire dentro l’opera in ogni momento. Penso che dopo molti anni in cui la mia figura ha rappresentato una sfida sia per il mondo della musica che per quello dell’arte, finalmente sono riuscito a diventare un elemento comprensibile e decifrabile. Sono anche molto contento di non aver compromesso in passato me e la mia arte, tant’è che ora i miei lavori sono richiesti da mondi molto diversi tra loro, e ogni volta è una nuova sfida. In parallelo c’è anche tutto un lavoro etico che sto svolgendo con varie realtà che si occupano delle dissonanze e delle difficoltà di oggi, tra cui l’UNHCR. Per il futuro mi auguro di continuare a camminare, a percorrere questa strada, sperando di poter realizzare sempre i progetti così come li sogno, senza compromessi. La cosa che più desidero per me stesso è sentirmi libero, esprimendomi appieno e vivendo ogni momento in questo percorso nell’hic et nunc: è forse questo l’insegnamento più importante che ho imparato dagli ultimi due anni.

PHOTO CREDITS

Yuval Avital © Lessico animale. Mysterion n.171, Terme di Caracalla, Roma, 2023

Yuval Avital © About Birds, Quartetto icono-sonoro n.2, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Modena, 2023 Ph Rolando Paolo Guerzoni

Yuval Avital © Foregin bodies N3, Icon n.79, 2022

Yuval Avital © foto di scena di Fuga Perpetua – Opera icono-sonora n.5, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Modena, 2016 Ph. Max Farina

Yuval Avital © installation view Alma Mater, installazione icono-sonora, Fabbrica del Vapore, Milano, 2015 Ph. Rsanzone

Yuval Avital © installation view Human Signs Loop/ed, Espronceda, Barcellona, 2021 Ph. Facundo Manocchio

Yuval Avital © installation view Nephilm, Museo Marino Marini, Firenze, 2019 Ph. Massimo Pacifico

Yuval Avital © La Discoteca degli Sciapodi, Mostrario Parte I, Teatro Regio, Parma, 2022 Ph Roberto Ricci

Yuval Avital © Urla, Matera, 2019 Ph. Francesca Petretti

Yuval Avital © installation view ETERE, Building, Milano, 2021 Ph. Leonardo Morfini

Yuval Avital © frame da Icon-sonic Postcards n.2 – Postcards from Rome, Macro Asilo, Roma, 2018-2019

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Yuval Avital © making of Labirinto, un dipinto di m 125×2,5 realizzato in dialogo con laboratorio di scenografia di Teatro Due, Parma, 2023 Ph. Andrea Morgillo

BIOGRAFIA

Nato a Gerusalemme nel 1977, vive e lavora a Milano. Artista multimediale, compositore e chitarrista, Yuval Avital sviluppa le sue opere in diversi spazi, tra cui luoghi pubblici, siti di archeologia industriale, teatri e musei, sfidando le tradizionali categorie cristallizzate che separano le arti. Nelle sue mostre, performance, installazioni immersive, opere totali, “rituali” musicali su larga scala e concerti si possono trovare danzatori, ensemble di musica contemporanea, maestri di culture antiche, persone o intere comunità reclutate, proiezioni multivideo, ambienti tattili meditativi, strumenti tecnologici avanzati, materiali d’archivio, dati scientifici, sculture sonore, pittura e opere d’arte a stampa.

Le opere d’arte sonore e visive di Avital sono state presentate in musei, fondazioni d’arte, luoghi ed eventi d’arte come Manifesta, Biennale Europea d’Arte Contemporanea; la Biennale OSTRALE di Dresda, Germania; GAM Torino, MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma; Museo Marino Marini, Firenze e Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano. È autore di installazioni su larga scala, tra cui Alma Mater, la più grande installazione sonora mai realizzata in Italia, su una superfice di 1200 mq con una “foresta” di 140 altoparlanti, proiezioni e luce (Fabbrica del Vapore, Milano, 2015); sculture sonore permanenti quali Il giardino dei sonagli, composta di 50 sculture in ferro forgiato simile al grano e ulivi sui quali sono stati appese 180 campane e sonagli provenienti da ogni area del Mediterraneo (Mulinum San Floro, Calabria) e Recinzione aperta, un’enorme scultura sonora di 320 campane tubolari, 64 metri in lunghezza e 4 di altezza, che possono essere azionate simultaneamente da 80 visitatori (East End Studios, Milano). Il lavoro sonoro e visivo più recente è Tracce umane, un’opera d’arte di danza e voce online partecipativa e globale, concepita ai tempi del COVID-19, con la partecipazione di più di 177 artisti provenienti da oltre 46 paesi, presentata digitalmente a Manifesta 13 a Marsiglia, Francia, nel 2020, come parte della mostra Utopie reali. Dal 2018 è Ambasciatore del movimento Il Terzo Paradiso, fondato da Michelangelo Pistoletto.

BIOGRAFIA

Nato a Gerusalemme nel 1977, vive e lavora a Milano. Artista multimediale, compositore e chitarrista, Yuval Avital sviluppa le sue opere in diversi spazi, tra cui luoghi pubblici, siti di archeologia industriale, teatri e musei, sfidando le tradizionali categorie cristallizzate che separano le arti. Nelle sue mostre, performance, installazioni immersive, opere totali, “rituali” musicali su larga scala e concerti si possono trovare danzatori, ensemble di musica contemporanea, maestri di culture antiche, persone o intere comunità reclutate, proiezioni multivideo, ambienti tattili meditativi, strumenti tecnologici avanzati, materiali d’archivio, dati scientifici, sculture sonore, pittura e opere d’arte a stampa.

Le opere d’arte sonore e visive di Avital sono state presentate in musei, fondazioni d’arte, luoghi ed eventi d’arte come Manifesta, Biennale Europea d’Arte Contemporanea; la Biennale OSTRALE di Dresda, Germania; GAM Torino, MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma; Museo Marino Marini, Firenze e Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano. È autore di installazioni su larga scala, tra cui Alma Mater, la più grande installazione sonora mai realizzata in Italia, su una superfice di 1200 mq con una “foresta” di 140 altoparlanti, proiezioni e luce (Fabbrica del Vapore, Milano, 2015); sculture sonore permanenti quali Il giardino dei sonagli, composta di 50 sculture in ferro forgiato simile al grano e ulivi sui quali sono stati appese 180 campane e sonagli provenienti da ogni area del Mediterraneo (Mulinum San Floro, Calabria) e Recinzione aperta, un’enorme scultura sonora di 320 campane tubolari, 64 metri in lunghezza e 4 di altezza, che possono essere azionate simultaneamente da 80 visitatori (East End Studios, Milano). Il lavoro sonoro e visivo più recente è Tracce umane, un’opera d’arte di danza e voce online partecipativa e globale, concepita ai tempi del COVID-19, con la partecipazione di più di 177 artisti provenienti da oltre 46 paesi, presentata digitalmente a Manifesta 13 a Marsiglia, Francia, nel 2020, come parte della mostra Utopie reali. Dal 2018 è Ambasciatore del movimento Il Terzo Paradiso, fondato da Michelangelo Pistoletto.

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