Fotografo e photo editor indipendente, Abir Abdullah insegna fotografia presso l’Alliance Française de Dhaka. Ha studiato al Pathshala South Asian Media Institute, ottenendo il diploma in fotogiornalismo nel 1999 e ha lavorato come corrispondente dal Bangladesh per la European Pressphoto Agency (EPA) dal 2005 al 2017.
Ha ricoperto la posizione di preside del Pathshala South Asian Media Institute dal 2018 al 2020.
La mia famiglia è fuggita dal nostro villaggio in Bangladesh verso la capitale durante la guerra di liberazione contro il Pakistan del 1971.
Siamo scappati viaggiando sotto la pioggia, il sole cocente, spesso senza cibo a sufficienza. Allora l’esercito pakistano uccideva persone innocenti: uomini, donne, bambini, dava fuoco alle case e violentava le donne. Io ero molto piccolo e a quell’età non riuscivo a memorizzare molto. Quello che ho visto al confine tra Bangladesh e Myanmar, quando, anni dopo, documentavo l’esodo dei rohingya del 2017, è stato come un ritorno alla mia infanzia ma, al contempo, superava la mia immaginazione.
Questa volta, l’esercito del Myanmar aveva iniziato un genocidio contro i rohingya, ai quali veniva rifiutata la cittadinanza, i villaggi venivano incendiati, i civili uccisi e le donne violentate.
Di conseguenza, più di 800 mila persone hanno attraversato il confine col Bangladesh, portando sulle spalle il poco che possedevano: uomini, donne, bambini e anziani, spesso a piedi nudi, hanno affrontato la giungla e le montagne per diversi giorni, o si sono avventurati nel mare agitato del golfo del Bengala.
Il 60 percento di loro erano bambini, adolescenti e neonati, che arrivavano esausti, affamati, disidratati.
Abir Abdullah