“Vivo tra nostalgia e felicità”. Andrea è nata 34 anni fa a Mérida, in Venezuela. Aveva una vita normale, fatta di famiglia, studio, lavoro. La situazione politica è precipitata e ha costretto tantissimi a lasciare in fretta e furia il Paese (si stima che i profughi venezuelani degli ultimi anni ammontino a circa 7,32 milioni, su una popolazione di 28 milioni circa; nel 2022 il Venezuela si è classificato quarto Paese al mondo per esodi forzati dopo Siria, Ucraina e Afghanistan).
“C’era persecuzione politica, povertà, enorme carenza di medicine, di generi di prima necessità, così io, mio marito e mia figlia siamo partiti”.
Ora vive a Mirano (Venezia) con il marito e la figlia e fa la guida museale a Palazzo Grassi.
Il percorso di integrazione non è facile. “A cominciare – si sfoga – dall’incubo della questura dove dobbiamo andare regolarmente per rinnovare i nostri permessi. Ti trovi davanti persone che non sanno trattare con chi , come noi, è lì per necessità estrema. Non c’è umanità non avete idea di come ti sgridano, come fossi l’ultimo rifiuto della storia. Non posso esigere umanità, ma almeno un minimo di rispetto. Ti senti disprezzata, come se avessi commesso un crimine. Purtroppo devi accettare. Aspettare di sei mesi in sei mesi per rinnovare. E vivi con questo incubo: se la commissione non ti reputerà degna di restare, ti rispediscono indietro, e non sai cosa sarà della tua vita”.
Ha finalmente ottenuto la protezione sussidiaria.