Guglielmo Castelli

Questo genere di pittura figurativa con toni accesi e vivaci proviene dagli Stati Uniti, e oggi gode di una certa fortuna. Una tendenza che la tua pratica artistica si trova in parte ad incontrare sia a livello formale, che di scelta di colori e soggetti. Eppure si intuisce una profondità emotiva ed espressiva del tutto peculiare. Forse, come dicevi, propriamente europea. I contorni dei tuoi soggetti, per esempio, spesso esplodono in funzione di movimenti esteriori e soprattutto interiori. In questo senso, la tua figurazione rifiuta di essere del tutto esplicita, presentando una profondità “drammatica”, nel tuo mettere in scena le emozioni universali umane. In che modo pensi che il tuo linguaggio si distingua da quello di altri tuoi colleghi americani?

Io non ho studiato pittura: è venuta a me ed è stata un’esigenza, ma vengo dal disegno e dal teatro. Io non potrei mai scindere le cose, negare il mio variegato bagaglio culturale, e le storie e suggestioni che si porta dietro. È vero che la pittura figurativa oggi va molto. Io l’ho sempre fatta, a diversi livelli. Ma a me non interessa il genere ad esempio. La mia figurazione forse funziona anche perché paradossalmente arriva da un’astrazione. La mia è una narrazione intesa come tempo e come spazio, e ha proprio per questo una universalità di soggetti e vicende. Uno spazio di competenza dove succede qualcosa. Il fatto di non avere una riconducibilità, ma avendo dei livelli non solo tecnici, ma soprattutto di lettura, fa si che utilizzo il medium della pittura, ma attenendosi anche a degli aspetti esplicitamente legati ad altri media come addirittura la performance, il balletto. Queste rappresentazioni, queste scene, appartengono più ad un modo europeo, che d’oltreoceano.

 

Quasi tutti i tuoi lavori sembrano essere attraversate da un langueur, un velo di malinconia. Più volte nelle tue interviste hai accennato ad uno stato di nostalgia. Si tratta però di un tipo di nostalgia più vicina a quella di sensibilità artistico-letterarie sviluppatisi in momenti altrettanto di rottura e crisi dei modelli culturali precedenti, come ad esempio il Romanticismo o Decadentismo con la loro nostalgia per i classici e le rovine, per una perfezione passata e perduta. Di che tipo di nostalgia parlano le tue opere? Si rivolgono più ad un mondo esteriore o interiore? In che modo si relazionano con il nostro tempo, o sono una reazione e fuga da esso?

Io credo che la mia pittura sia in qualche modo fuori tempo. Una nostalgia che a volte suona cacofonica in certi aspetti, ma lo è volontariamente e consapevolmente, per questo vi subentrano elementi cromatici come i colori acidi e un dismorfismo strutturale. È comunque una nostalgia perfettamente inserita in un momento storico come adesso, in cui è richiesta una velocità che la pittura non può avere. È una nostalgia che parla di una difficoltà di relazionarsi reciprocamente. La mia pittura è una sorta di matrioska, dove c’è lo spazio, c’è il corpo e poi c’è di nuovo il corpo con lo spazio. Spesso questi sconfinano, uno è troppo grande o troppo piccolo per l’altro, negando un reale dialogo fra i due. Di base, sono impregnati di una melinconia, che è lo stadio prima della malanconia, in cui non è ancora uno stato patologico ma appartiene a tutti, ed è appartenuto a molti in questo momento. Paradossalmente con la pandemia ne abbiamo colto degli aspetti anche utili, come momento necessario di riflessione e confronto con se stessi. È in questo senso una nostalgia anche rispetto alla cura delle cose, e a noi stessi, che non vi è più. Non dico che si stava meglio prima – perché si stava meglio prima di cosa? Di chi? Di quando? Però penso che il fatto di posizionarsi a lato delle cose, sia un motivo per osservarle in maniera diversa, non dico più profonda, ma più sentita e attenta. Citando Marguerite Yourcenar, Come l’Acqua che scorre, 1982: “Strana condizione è quella dell’intera esistenza, in cui tutto fluisce come l’acqua che scorre, ma in cui, soli, i fatti che hanno contato, invece di depositarsi sul fondo, emergono alla superficie e raggiungono con noi il mare.”

VITA&OPERE

Guglielmo Castelli (1987, Torino, Italia) vive e lavora a Torino. La sua ricerca pittorica si manifesta con un universo iconografico ibrido dove corpi, spazi e oggetti sconfinano l’uno nell’altro. Le figure sfumano tra di loro o sullo sfondo, animando situazioni fluide fra accenni di malinconia, un senso di nostalgia ed espressioni di stupore. Ha esposto con mostre personali presso Mendes Wood DM Gallery, Bruxelles (2021); Fondazione Coppola, Vicenza (2019); e in collettive presso Castello di Rivoli, Torino (2021); 17° Quadriennale di Roma, Roma (2020); Rolando Anselmi Gallery, Berlino (2019). Ha vinto il premio Combat per la pittura (2015), è stato finalista per il Premio della VAF Foundation (2014), e per il Prix Canson (2013). Ha svolto residenze artistiche presso La Brea residency, Los Angeles (2020), Künstlerhaus Bethanien, Berlino (2017-18).

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Guglielmo Castelli (1987, Torino, Italia) vive e lavora a Torino. La sua ricerca pittorica si manifesta con un universo iconografico ibrido dove corpi, spazi e oggetti sconfinano l’uno nell’altro. Le figure sfumano tra di loro o sullo sfondo, animando situazioni fluide fra accenni di malinconia, un senso di nostalgia ed espressioni di stupore. Ha esposto con mostre personali presso Mendes Wood DM Gallery, Bruxelles (2021); Fondazione Coppola, Vicenza (2019); e in collettive presso Castello di Rivoli, Torino (2021); 17° Quadriennale di Roma, Roma (2020); Rolando Anselmi Gallery, Berlino (2019). Ha vinto il premio Combat per la pittura (2015), è stato finalista per il Premio della VAF Foundation (2014), e per il Prix Canson (2013). Ha svolto residenze artistiche presso La Brea residency, Los Angeles (2020), Künstlerhaus Bethanien, Berlino (2017-18).

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