HEMIN

A beautiful mind

“Mi hanno portato via da un centro di raccolta per richiedenti asilo a Dover la mattina presto, neanche il tempo di vestirmi In pigiama e infradito, mi hanno messo su un aereo di linea ammanettato, stretto tra due poliziotti, in mezzo a viaggiatori normali che mi osservavano. Come fossi un terrorista”.  

È qui che Hemin, scappato dal Kurdistan iraniano a 20 anni, crolla. E maledice quella idea di partire che cresceva nella sua testa fin dall’adolescenza, che lo ha portato a scendere a uno a uno tutti i gironi dell’inferno. Il viaggio a piedi fino al confine con la Turchia, il barcone con 80 disperati come lui, fermi per giorni in mezzo all’Egeo, a bere acqua di mare e mangiare niente. E poi botte, il rischio di affogare arrivato a poche centinaia di metri dalla costa “nessuno sapeva nuotare, pensavo di morire lì”. La fuga dal centro di raccolta a Brindisi “Volevo andare in Inghilterra”, il passaggio Calais-Dover sotto a un camion. E ancora botte, violenza, notti per strada senza potersi lavare, considerato un barbone, lui che a Sardasht, aveva una bella famiglia, la dignità. “Sempre per quella c….di voglia di essere libero”. Il colloquio per l’asilo, a Roma, un anno dopo, non va. “La mediatrice, una stronza anti-curda, traduce male”. 

(The) game over. 

Ma qui che, come in una tragedia shakesperiana, entra in scena un personaggio chiave, una figura minore, ma dal ruolo determinante. “Chiamai mia nonna, ero a pezzi” “Resisti”. “Ho fatto ricorso e dopo due anni ho ottenuto l’asilo politico”. 

Ora lavora in un ‘pizza al taglio’ al Colosseo. “Dopo tutta ‘sta storia una cosa  è certa, so capire subito dove sta il bene e dove il male. Ormai, c’ho ‘na bella  capoccia”.  

 

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