Hilda Palafox è una delle più promettenti artiste emergenti dalla vivacissima scena artistica messicana, con un’arte che si appropria e riattiva in modo significativo stili e motivi tradizionali.
Attingendo al ricco patrimonio iconografico e stilistico dell’estetica precolombiana e del muralismo messicano, Palafox lo manipola e lo modella in una peculiare dimensione e sensibilità femminile, che affronta la percezione e l’espressione del corpo femminile e della vita interiore riccamente stratificata.
Abbiamo incontrato Hilda nel bel mezzo di una settimana artistica a Città del Messico.
Il suo sorriso gentile ci accoglie dal piano superiore, mentre ci saluta e ci indirizza verso la porta destra dell’edificio, in un quartiere molto residenziale non lontano dal Centro Historico e dai principali centri della città.
Al momento di questa visita, l’artista si è appena trasferita in questo nuovo studio, con ampia luce naturale e spazio, e stanze separate che le permettono di differenziare i molteplici aspetti della sua pratica e i vari mezzi di comunicazione che essa attraversa creativamente, seppur mantenendo sempre una grande coerenza estetica e semantica.
Nella sala principale sono esposti alcuni dei nuovi dipinti a cui sta lavorando.
Come spiega l’artista, si tratta di opere che la sua galleria esporrà alla prossima Art Basel di Hong Kong, alla fine di marzo.
Ad abitare queste tele sono esclusivamente personaggi femminili, robusti e solidi, fermi nelle loro azioni e interazioni con l’ambiente circostante e con gli altri personaggi.
Si ergono monoliticamente in tutte le loro parti, in un tutt’uno di spirito e corpo, di mente, sensazioni fisiche e traduzione fisiologica di questi attributi. Le figure sembrano contemplare contemporaneamente i loro gesti, lo spazio sensoriale ed emotivo e il mondo. È come se archiviassero una piena consapevolezza dei significati esistenziali più profondi, nel mezzo.
La loro austerità è simile alla monumentalità delle antiche figure greche, ma la loro essenzialità nella forma ci porta a pensare a qualcosa di ancora più antico e primordiale, astratta dal tempo.
A questo contribuisce anche la singolare scelta artistica di Palafox di lasciare gli occhi vuoti, senza pupille, come un vuoto indefinito. Questa componente, come commenta Hilda, ha finito per essere scelta come mezzo necessario per liberare le sue figure da qualsiasi lettura diretta e possibilità di interpretazione. Come disse Modigliani, “se gli occhi sono finestre dell’anima, quando si entra nell’anima di un personaggio, l’attenzione non può che spostarsi dall’universale alla singolarità“.
L’obiettivo di Palafox è appunto quello di far sì che i suoi personaggi, in qualche modo, si collochino su una piattaforma universale di sentimenti e di status emotivo.
Con questo mix altamente simbolico le sue figure mantengono un profondo mistero che le rende senza tempo: sospese nello spazio sfuggono a qualsiasi possibilità di narrazione lineare e lasciano la lettura della scena aperta allo spettatore, che inevitabilmente interagirà in modo diverso a seconda del proprio bagaglio culturale ed emotivo.
Anche in questo caso, Hilda rinnova l’attitudine dei muralisti messicani a valorizzare l’accessibilità nell’arte a un livello mai visto prima – che è simile a quello che possiamo trovare nell’arte antica del mondo, tra le regioni, tra i significati religiosi e le storie umane.
Da questa prospettiva, mi rendo conto di come il lavoro di Hilda Palafox utilizzi un vernacolo profondamente intimo ma altrettanto universale che attraversa le tradizioni artistiche messicane e che a volte si incrocia con l’estetica post-internettiana e persino con qualche influenza e risonanza giapponese.
Credo che sia proprio lì, in questo nucleo altamente simbolico, che si trova il fattore che permette alle sue narrazioni visive di archiviare il potere di trasformarsi in dipinti storici contemporanei: se guardiamo ai più grandi dipinti figurativi del Medioevo, del Rinascimento e del Barocco, tutti condividono questa simile struttura simbolica multistrato, poiché erano destinati a essere leggibili dalle masse, ma anche impregnati di livelli diversi a seconda del background culturale che consentiva diverse profondità di decodifica delle immagini presentate.
Mentre non c’è mai un solo “significato” di un mito, in questi capolavori, come accade anche nelle opere di Palafox, c’è una sorta di “meta-significato” che emerge quando il mito viene considerato su più livelli contemporaneamente.
D’altra parte, Palafox proviene da una formazione e da una carriera iniziale nel campo dell’illustrazione, e la linea è il vero elemento di collegamento tra tutte le sue opere: è il filo conduttore che attraversa le figure, delineando queste composizioni enigmatiche. All’interno di queste linee la densità del colore si espande attraverso molteplici passaggi e strati di pittura, nonostante l’artista preferisca mantenere una superficie piatta. Lo spazio è nel colore, nella sua saturazione e nei forti contrasti tra aree di luce e di ombra.
Come possiamo vedere da una serie di opere su carta in una stanza separata, il disegno è ancora per Hilda il primo e più intuitivo passo nella concezione delle sue opere: avvicinandosi ai suoi schizzi come ai disegni automatici surrealisti, questo è il momento in cui tutte le sue scene insondabili si manifestano. Come ci spiega Hilda durante la nostra visita in studio, questo universo pieno di risorse di personaggi femminili le viene in mente mentre traduce in disegno libero i suoi sentimenti e le sue situazioni di vita recenti, con un controllo razionale molto scarso: seguendo il flusso delle associazioni visive e sentimentali, emergono sulla tela figure misteriose e apparentemente rivelatrici, ma che negano in modo interessante qualsiasi identificazione etnica, culturale o storica.
Questi personaggi ricorrenti, con i loro tratti e la loro presenza, sono diventati ciò che possiamo definire la “firma pittorica” di Hilda Palafox: uno stile fresco e urgente, inconfondibilmente suo.
Tuttavia, spostandoci nelle altre stanze, scopriamo come questo profondo legame dell’artista con la pittura stia trovando una continuazione nella ceramica. Su un tavolo, vediamo alcuni bassorilievi in argilla che assomigliano ad alcuni antichi rappresentanti che potrebbero essere stati trovati nelle piramidi precolombiane o ad altre lastre di pietra incise con storie antiche e saggezza ancestrale.
Come spiega Hilda, il processo con l’argilla è per lei ancora più intuitivo: ci si abbandona alla materia, ci si lascia guidare dalla materia fino a perdersi in essa e a perdere la distanza e la percezione del distacco dagli elementi.
Hilda ha già esplorato la ceramica con residenze prima in Giappone, poi da Ceramica Suro, a Guadalajara, in Messico.
Nel corso della nostra conversazione ci confessa che nel prossimo futuro aspira a sculture in argilla di dimensioni maggiori, fino a raggiungere la scala umana o a superarla, per consentire una diversa relazione con lo spettatore ed espandere queste narrazioni nello spazio.
L’artista ancora sperimentando come trattare e manipolare la ceramica in forme, ma c’è un vasto universo di potenziale espressivo in questo materiale che le piacerebbe esplorare più a fondo.
Da queste parole si capisce come Hilda Palafox non sia solo un’artista dalle mille risorse, ma anche incredibilmente ambiziosa, che cerca di esplorare le profondità dei diversi potenziali sviluppi del suo ricco universo visivo e narrativo, attraverso molteplici mezzi.
Inoltre, la sua pratica sembra essere governata da un rigoroso senso di disciplina: quando le si chiede della sua routine, ad esempio, descrive un ritmo preciso che inizia al mattino presto, per prepararsi alla creazione sia a livello spirituale che fisico, per poi arrivare alla pratica in studio, ogni giorno, come una in una sorta di rituale.
L’arte di Hilda Palafox attinge poi a un linguaggio visivo molto più vicino ai meccanismi del mito: le figure simboliche rappresentano atteggiamenti e comportamenti umani condivisi, lasciando emergere qualcosa dall’inconscio collettivo.
Come negli antichi miti, il linguaggio visivo di Palafox non è solo un racconto pittoresco di antiche culture: è un manuale d’istruzioni codificato su come bilanciare gli schemi dell’uomo e del cosmo con le energie interne.
Se gli esseri umani hanno usato i miti per trasmettere l’eterna lotta dell’umanità, che progredisce e regredisce costantemente nel tempo, e se i muralisti messicani, come prima i pittori di affreschi, hanno usato gli stessi meccanismi simbolici, nella sua opera Hilda esprime un simile movimento pendolare, specificamente nell’esperienza femminile del mondo, attraverso epoche, cambiamenti sociali e culturali – con molti ancora da archiviare, specialmente nella società messicana.