Gennaio 2024
Il collettivo che cade sotto il nome di Luca Rossi usa la critica come pennello; con gli anni ha dato corpo a una pratica eterogenea nel panorama artistico italiano avviando spesso dibattiti che si sono poi tradotti nel suo operare artistico all’intersezione fra la critica istituzionale, l’installazione multimediale e la pittura. Li abbiamo incontrati a seguito della loro mostra personale Order a pizza from around the world and have it delivered to Galleria Six (Piazzale Gabrio Piola 5, Milano) on 16 December 2023 from 7 p.m. presso Galleria Six.
Grazie ad un attivismo più che decennale su blog e social, dove non lesini le critiche, ti sei creato il ruolo di quello che afferma che il re è nudo. Quasi oltre l’Institutional Critique, corrente ormai canonizzata nella storia dell’arte, hai elaborato un sistema critico con diverse categorie stilistiche che di volta in volta usi per classificare le pratiche di altri artisti. Posto che anche questo può essere una pratica artistica, ricordo l’opera di Boetti, Manifesto dove in termini più esoterici e poetici classifica molti suoi colleghi, il tuo agire sembra invece essere un sintomo dell’assenza di una legittima critica d’arte, almeno nel contesto italiano. Cosa manca al sistema per ricostituire la figura e il ruolo del critico? Perché secondo te deve essere un artista a dirlo?
Sono profondamente convinto che un contesto critico pubblico e leale, possa fare il bene di tutti e soprattutto possa rinnovare le ragioni e le motivazioni del contemporaneo che diversamente, come sta accadendo da alcuni anni, rischia di perdersi in soluzioni derivative e posture rigide e nostalgiche. Nel 2009 ho sentito l’esigenza di stimolare un maggiore confronto critico che, ormai quotidianamente da 15 anni, ho puntato prima di tutto verso me stesso. Sono stato disposto ad “uccidere” quello che ero prima per poter “rinascere”. Ogni artista, giovane o a metà carriera, dovrebbe essere disposto a fare questo quotidianamente. Nel 2023 abbandonarsi al manierismo e ai linguaggi derivativi, significa scivolare nel design d’interni e in quello che nel 2009 ho chiamato “IKEA evoluta”. Dopo 15 anni mi rendo conto che il mio lavoro critico mi ha costretto ad un isolamento salutare, una sorta di quarantena che mi ha protetto da alcune dinamiche tossiche; permettendomi così di sviluppare una progettualità non convenzionale, fatta anche di progetti di formazione per gli artisti e di divulgazione per il pubblico. La mia critica è diventata il mio primo pennello, e mi sembra significativo e necessario che questa scintilla debba provenire da un artista.
Definisci il tuo operato “altermoderno”, categoria introdotta da Nicolas Bourriaud per una mostra da lui curata nel 2009. L’altermodernità si caratterizza più per un interesse verso i modi di diffusione e gestione dei contenuti che per i contenuti stessi. Tanto più che oggi siamo alle prese con una saturazione degli spazi fisici e mentali, e la densità ha soppiantato l’intensità, per dirla sempre con Bourriaud, che affronta questo tema nel suo ultimo saggio sul capitolocene.
La serie in fieri, ed esposta in mostra, IMAGES – If You Don’t Understand Something Search For it on YouTube, gioca proprio su quest’aspetto: sulla crescita esponenziale dei contenuti creati e caricati sulle piattaforme di condivisione. L’opera consta di una serie di codici alfanumerici che se cercati su Youtube ci presenta ogni giorno decine e decine di video diversi. Con questa operazione ci stai dicendo che è cambiato ciò che deve fare l’arte: da produrre immagini che aiutano a comprendere il mondo si passa a produrre modalità di comprensione di come questo mondo funziona?
Il problema principale che oggi abbiamo, dentro e fuori i musei, è la gestione delle informazioni. Non possiamo affrontare alcun problema, alcuna tematica, se prima non impariamo a gestire e ordinare le informazioni di cui siamo tutti artefici e vittime al contempo. Cambiamento climatico, questioni di genere, guerre, problemi politici e sociali, non possono essere affrontati in alcun modo se prima non lavoriamo sulle modalità con cui gestiamo contenuti e informazioni. Al centro della mia pratica artistica non c’è più l’opera convenzionale postmoderna, ma la gestione delle informazioni su cui agisco come se queste fossero “argilla” da modellare e manipolare. La serie a cui fai riferimento presenta opere che si concentrano non nel creare l’ennesimo contenuto, ma nell’ordinare le informazioni prodotte in modo bulimico in tutto il mondo. Questo permette di rappresentare efficacemente il nostro presente e allo stesso tempo di resistere alla dittatura dell’algoritmo che ci propina sempre contenuti già totalmente conformi a “quello che siamo”. In questo modo l’uomo contemporaneo non cresce ma “ingrassa”. L’uomo cresce, migliora ed è felice, solo se è in grado di affrontare l’Altro e il Diverso. Al contrario la società iperdigitalizzata in cui viviamo, ci pone in una condizione di “anestesia” in cui non possiamo comprendere e non possiamo comunicare; internet ci illude anche di muoverci anche se stiamo unicamente sprofondando sopra il nostro schermo.
Un ragionamento simile si attua anche in Hidden Works, altra serie presente in mostra, che consta di imballaggi di carta di opere che non vediamo e di cui sappiamo solo gli autori. Sono opere sottratte alla vista e alla fruizione, un po’ come negli imballaggi di Christo e Jeanne-Claude, sottraendo si enfatizza ciò che sta dentro. Questa enfasi sull’occultamento materiale mi richiama la riflessione che fa la sociologa francese Nathalie Heinich quando teorizza lo slittamento del concetto di contemporaneo da categoria cronologica, quindi di artefatti prodotti nella nostra epoca, a categoria estetica, postulando la coesistenza di opere moderne, classiche e, appunto, contemporanee. Senza dilungarsi nell’articolata disamina di Heinich, le contemporanee si caratterizzano per essere eminentemente dei dispositivi discorsivi, ovvero l’opera non sta più tanto nell’oggetto materiale che abbiamo sotto gli occhi quanto nelle narrazioni che questa innesca. Mi sembra che questa serie tratti (anche) quest’aspetto.
Anche nella serie Hidden Works tutto parte dalla gestione delle informazioni, ossia il collezionista può scegliere tre o più artisti moderni e contemporanei da far incontrare nella stessa opera, ma l’opera viene acquistata “nascosta” e può essere aperta solo una volta che arriva a casa sua. Il collezionista potrebbe anche decidere di non aprirla mai. In realtà queste opere non sono nascoste ma protette dal nostro presente. Infatti ogni opera riattiva la nostra immaginazione, l’effetto sorpresa e il valore dell’attesa, tre aspetti che il mondo contemporaneo sta lentamente soffocando tramite una continua “anteprima della realtà”. Possiamo sapere e avere tutto e subito, questo uccide l’attesa e quindi uno spazio importantissimo di riflessione, profondità ed esperienza. Queste opere resistono ad alcune degenerazioni della nostra contemporaneità e trasferiscono sul collezionista una responsabilità sull’opera che può essere celata per sempre o può essere visibile in determinate modalità. Anche in questo caso il contenuto è secondario rispetto alla gestione delle informazioni; questo avviene anche se, dal punto di vista formale, queste opere sono esercizi molto interessanti perché sono azzardi che portano il loro stesso autore in luoghi totalmente inaspettati e imprevedibili.
In altre occasioni hai affermato che la pittura può essere la via più interessante per affrontare le sfide attuali, e che può essere il medium più autenticamente contemporaneo, nonostante sia un medium che non usi. Lo pensi ancora? In che modo può esserlo?
In realtà nel 2019, sempre presso la Galleria Six, avevo proprio presentato degli acrilici che per me sono a tutti gli effetti pittura. Ho sempre considerato la pittura come una terza via, quando la prima via è l’attitudine Altermoderna e la seconda via è il lavoro sulla “post verità”. La pittura può essere ancora profondamente contemporanea anche se è probabilmente la via più difficile proprio perché il limite della tela non permette alcuna scorciatoia all’artista e lo costringe a una totale consapevolezza. Artisti come Michael Broughton e Luca Bertolo affrontano questa terza via in due modalità diverse ma ugualmente efficaci e significative nel leggere il nostro presente.
Luca Rossi, If you don’t understand something search for it on YouTube, acrilico su tela. Courtesy Galleria Six e collezione privata.
Luca Rossi, If you don’t understand something search for it on YouTube, 2023, opera di Picasso acquistata online, prespaziato su scatola vuota. Courtesy Galleria Six
Luca Rossi, If you don’t understand something search for it on YouTube, 2023, opera di Leonardo acquistata online, prespaziato su scatola vuota. Courtesy Galleria Six
Luca Rossi, Hidden Work (Schifano + Fontana + Burri), 2017, opera personalizzata su richiesta o tramite estrazione casuale dei nomi. Courtesy Galleria Six
Luca Rossi, Hidden Work (Kounellis + Fontana + Kosuth), 2017, opera personalizzata su richiesta o tramite estrazione casuale dei nomi. Courtesy Galleria Six
Luca Rossi, If you don’t understand something search for it on YouTube, acrilico su tela. Courtesy Galleria Six e collezione privata.