Il lavoro di James Lewis si focalizza su come l’entropia e il caos strutturino il mondo in cui viviamo; i suoi lavori sono un tentativo di mostrare come eventi piccoli e interconnessi creino pattern ricorrenti che, spesso, formano la base su cui poi si fondano le nozioni di tempo, spazio e storia.
Horror temporis, rotture, cicatrici e la proliferazione del tempo (per come è concepito dalla specie umana) è quello che Lewis investiga, e in un certo senso mappa cercando di tracciarne le coordinate con i suoi lavori. In questa intervista abbiamo discusso con lui riguardo i lavori presentati ad Atlante Temporaneo e più in generale della sua pratica.
Sono incuriosito dalla scelta dei materiali che usi. Nei tuoi lavori compaiono ad esempio il cemento in A Challenge of Exacting (Encyclopaedia), Diluvium, e Dusk Slug, fusioni in alluminio in Narrowly True but Broadly Misleading, piombo per la serie Study, ma anche whiskey, funghi, caffè e agar. Cosa ti ha portato ad una selezione così disparata di materiali? Qual è il risultato del loro incontro?
Sono interessato a vedere come le cose si scontrano tra loro, come in una sorta di nichilismo attivo che mi aiuta ad andare un po’ più a fondo nelle idee e ad allontanare i lavori da un approccio didattico o letterale.
Alcuni dei materiali che uso sono di origine naturale e sono lì per comunicare con lo spettatore ma anche per coesistere con l’osservatore allo stesso tempo; di fondo li uso per innescare l’idea che tutto è legato al cambiamento e sottolineare l’impermanenza. Anche in alcuni dei miei lavori in metallo, la superficie è malleabile perché composta da due diversi materiali, piombo e alluminio, i cui tempi di ossidazioni sono differenti. Quindi anche il lavoro più immutabile ad un primo sguardo rivela la sua fragilità.
Mi piacerebbe sapere come tu stesso leggi il tuo lavoro. Puoi far finta di uscire da James Lewis per un momento e dirmi cosa vedi?
Il mio lavoro è lì per essere interpretato, sperabilmente le mie opere raccontano una storia, o ci riportano ricordi sepolti nella memoria. Sono maligni, non chiari, frammentati, sono scrittura, sono incapacità, incertezza, ingiustizia sociale, informazioni statistiche, tumori.
Ma soprattutto, quando guardo al mio lavoro vedo vecchi modi di esprimere me stesso, pezzi di una storia più ampia sulla separazione e l’introspezione, e la possibilità di costruire un mondo migliore, o peggiore, rispetto quello che abbiamo.
Il tuo lavoro cerca di esplorare il potenziale della scultura e di tradurre come l’entropia permei il mondo per come lo percepiamo. Per esempio in lavori come Narrowly True but Broadly Misleading riporti fatti o statistiche (come l’area della superficie media della pelle umana, quanto ci vuole per digerire del cibo, l’ammontare medio delle parole pronunciate in un giorno); sono questi i fatti, o “pattern ricorrenti” come li definisci, che alla fine si coagulano nella nozione di tempo, spazio o storia? È forse questo un modo per ancorare l’entropia caotica e proteiforme ad una forma visibile e tangibile sebbene transitoria?
Le statistiche e i fatti sono modi semplici per comunicare idee complesse. Sono strumenti politici, dispositivi didattici, avvii di conversazioni. La serie Narrowly True but Broadly Misleading è costituita da una serie di proposizioni per individuare separazioni e dissonanze. Il lavoro vorrebbe dare delle informazioni concrete ma è in realtà più simile a della poesia concreta o assurda.
Ho iniziato a riflettere su domande del tipo “come articoliamo il visibile?” o “come posso misurare il vuoto tra due persone?”; alla fine sono divenute ricerche disorientanti e false dichiarazioni di certezza.
Puoi dirci di più riguardo i lavori esposti in Atlante Temporaneo: la serie Dusk Slug e Pattern Problems? Che idea sta dietro il setting che il loro allestimento crea?
Questa mostra mi ha offerto l’opportunità unica di presentare i lavori in due stanze adiacenti. Le due Dusk Slugs sono rudimentali immagini specchio l’una dell’altra, perciò una stanza è l’eco dell’altra, un inceppamento di sinapsi, cervello destro-sinistro, una memoria, un indistinto doppelgänger. Non sono sicuro quale delle due stanze sia l’impostrice.
Forse sono entrambe testimoni dello spettacolo, passivi spettatori del mondo che si muove ed evolve a diverse velocità davanti a loro, consci che la società non può essere riconciliata e il dolore non si condivide attraverso l’empatia.