Kiki Smith descrive il suo lavoro come una sorta di “cosmografia contemporanea” dove l’artista mappa le riflessioni sulla vulnerabilità della condizione umana rispetto a un più ampio insieme di forze naturali ed eventi che accadono intorno a noi, e su cui, spesso, non possiamo esercitare alcun controllo.
Nell’avvicinarsi a questi fenomeni, Smith utilizza in modo fluido un dizionario visivo personale, attingendo a un immaginario universale e archetipico condiviso in epoche e culture diverse, come in una sorta di registro psicologico dell’esperienza universale, il cosiddetto “inconscio collettivo”, come definito da Carl Gustav Jung. In effetti, questa relazione tra l’individuo e l’universo è al centro di tutta la sua ricerca. In occasione di Atlante Temporaneo abbiamo discusso con l’artista di come le opere in mostra estendano a loro volta il proprio orizzonte emotivo, politico ed estetico da una dimensione personale ad una più universale.
Le tue opere sono intimamente poetiche, in gran parte basate su sentimenti personali e sulla tua immaginazione, pur mantenendo un carattere universale. Probabilmente per questo motivo, possono essere viste come “idoli contemporanei”, che sono leggibili da tutti, ma allo stesso tempo parlano misteriosamente in modi diversi ai diversi spettatori. Mi piacerebbe sapere come tu stessa “leggi” queste opere. Puoi uscire per un momento da te stessa e farmi sapere cosa vedi?
Non riesco a leggerle, né rifletto particolarmente sulle loro conseguenze o significati potenziali. Mi limito a seguire l’impulso dato per fare le cose che mi appaiono evidenti. Oppure seguo semplicemente ciò che mi appare evidente a cui prestare attenzione.
Come la maggior parte dei tuoi lavori, questi bronzi e le quattro calcografie della serie Standing traggono ispirazione dalla cultura visiva del passato, che va dalle rappresentazioni anatomiche, naturali e scientifiche del XVIII secolo alle immagini di reliquie, memento mori, folklore, mitologia, iconografia bizantina, pale d’altare medievali e raffigurazioni del mondo animale.
Potresti dirci di più sulla natura del pensiero, del materiale, del luogo (fisico, psicologico o situazionale) in cui ti trovavi al momento di realizzare queste opere, e come tutti questi riferimenti sono arrivati ad essere compresi in esse?
Sono molto attratta dall’apprendimento del linguaggio visivo nella storia. Il modo migliore per me di farlo è attraverso il processo di creazione. Tutti noi ereditiamo una cultura visiva così ricca che ci porta in così tante direzioni diverse allo stesso tempo. Sto cercando di imparare attraverso il fare.
Come spesso accade nell’arte, la rappresentazione non corrisponde necessariamente al significato simbolico che l’autore intendeva esprimere nell’opera. Intorno a questa dinamica, mi sembra, si concentri anche la maggior parte del tuo lavoro: nonostante sia in gran parte figurativo assume un carattere misteriosamente enigmatico, attingendo ad elementi reali proprio per il potenziale allegorico/metaforico che hanno assunto attraverso la nostra storia culturale.
Come descriveresti questo rapporto umano tra la realtà e la sua rappresentazione simbolica? Perché secondo te l’umanità ha dovuto ricorrere a simboli per mappare e descrivere la maggior parte dei fenomeni esterni e interni?
Penso che l’arte sia un modo in cui le persone sintetizzano esternamente la loro esperienza. Non sto cercando particolarmente di esprimere qualcosa di palese nel mio lavoro. Sto solo cercando di fare qualcosa che riconosco e che racchiude un sentimento. Non è mai fatto per essere capito. Non è fatto per essere elusivo, ma se significa qualcosa per altre persone, quel significato passa attraverso di loro. Sto solo cercando una collisione di sentimenti.
Suppongo che tu abbia fatto molte ricerche per costruire questo ricco linguaggio visivo, che va ad attingere al patrimonio collettivo di immagini e simboli condivisi che sono stati espressi nei sogni, nell’arte, nelle fiabe, nelle storie, nei miti e nei motivi religiosi di tempi e culture molto diverse. Dal momento che la maggior parte dei tuoi lavori riguarda la relazione tra uomo e natura, come credi sia cambiata la loro percezione e rappresentazione?
Non ho altra ricerca se non quella su noi stessi come contenitori di tutti i passati del mondo. Certamente le idee che abbiamo nella nostra coscienza cambiano, ma questa è solo una piccola parte di noi.