MATARR

Quando Matarr è partito dal Gambia, nel 2015, il suo piccolissimo Paese era ancora sotto una feroce dittatura. Yahya Jammeh, uno degli autocrati più longevi del pianeta, brutalmente attaccato al potere conquistato nel 1994 con un colpo di Stato, aveva reso il Gambia una specie di lager a cielo aperto dove oppositori politici, attivisti, omosessuali, rischiavano sparizioni forzate o morte.

Dal piccolo Stato infilato dentro il Senegal, poverissimo e liberticida, scappavano masse di giovani.

“Ho fatto le classiche tappe, Mali, Burkina Faso poi Niger e Agadez, al confine con l’Algeria, dove passano tutti i migranti. Poi la Libia, dove ci hanno massacrati, siamo stati venduti ai trafficanti e poi chiusi nelle prigioni”. 

Ma il viaggio in mare, per Matarr, è un dramma peggiore dei lager. “Il mio amico, quello che mi aveva convinto a partire con lui per cercare un futuro migliore, è morto in mare”. 

Matarr, dopo anni non riesce ancora a elaborare il lutto, vive ancora un suo stress post-traumatico.

Ha lavorato alle Gallerie delle Prigioni, lo spazio espositivo della Fondazione Imago Mundi come guardasala. (Per avere notizie della sua professionalità, si prega consultare i registri dei visitatori dal 2018 ).

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