Il lavoro di Rochelle Goldberg intraprende un’esplorazione delle complesse relazioni tra l’antropocene e il biocene, tra la natura e l’artificio.
Come possibili cartografie critiche degli spazi intersezionali tra sistemi organici e ambienti antropici, le sue opere mappano le loro interazioni e interconnessioni attraverso processi e forze che sono alla base del nostro modo di abitare il mondo.
Per Atlante Temporaneo abbiamo avuto la possibilità di discutere con l’artista alcune delle peculiarità della sua pratica, oltre a interrogarci sul significato che sta dietro le opere esposte.
Come sappiamo, la lettura della relazione tra esseri umani, oggetti e ambiente, e quindi il significato che vi attribuiamo, dipende in gran parte dal punto di osservazione. Quindi, prima di tutto, vorrei cominciare con il chiederti come tu stessa “leggi” queste opere che stai presentando. Puoi uscire per un momento da queste opere e farmi sapere cosa vedi?
Cerco di non leggere il mio lavoro finché non sono a una certa distanza. Deve necessariamente passare del tempo perché questo avvenga. In generale, gli aggregati allegorici e le figurazioni che realizzo sono costruiti attraverso un processo di scavo che è allo stesso tempo un origliare e un scavare: origliare momenti fugaci nel mondo in generale, scavare verso un ulteriore incontro.
So che hai spesso espresso un interesse specifico nell’esplorare questa condizione liminale, il confine tra gli elementi “dove il dentro e il fuori collassano” in quanto, citando direttamente le tue parole: “è sinaptico (congiunzione, concatenazione)”. Sappiamo che tutto è in qualche modo interconnesso, e come umanità, siamo solo una piccola particella di un sistema universale più ampio. Possiamo leggere queste opere come una sorta di micro modelli scientificamente rigorosi di macro sistemi più grandi? Come pensi che si relazionino con un insieme più ampio?
Un intervento materiale all’interno di un ambiente costruito o artificiale è più emotivo che scientifico: spingere sui framework di riferimento personali ed escludere il mondo reale IRL attraverso un gioco selettivo di agenzia materiale e fantasia. In questa versione degli eventi ciò che potrebbe essere consumato, scartato, mandato a marcire, viene lasciato solo, sospeso, e non c’è paura della perdita. Cosa succede quando le cose vengono lasciate andare? Quando il lasciar andare è sostenuto dalle proprietà fisiche e dalle agenzie del materiale stesso – materiale o sostanze che sono già conosciute attraverso il linguaggio, la necessità, il desiderio? Conosciamo già il risultato?
L’installazione è un momento chiave della tua pratica poiché il tuo approccio alla scultura è intrinsecamente site-specific e radicato nel modo in cui gli elementi interagiscono tra loro e con l’ambiente. Queste relazioni sono anche ciò che spesso attiva processi e reazioni specifiche, che esplorano il “futuro sconosciuto” incorporato in queste forme e permettono ad alcune forze silenziose ed energie nascoste presenti nello spazio di manifestarsi. Al centro, mi sembra, ci siano proprio tutte le potenzialità che risiedono nel rapporto tra presenza e processo materiale, che, tuttavia, nella tua mostra più recente hai arricchito anche con qualche impulso più allegorico e una narrazione specifica.
Puoi guidarci attraverso il tuo processo artistico? Hai avuto una particolare fonte di ispirazione per questi lavori o sono arrivati solo in relazione alla natura del pensiero, del materiale, del luogo (sia fisico, psicologico o situazionale) in cui ti trovavi al momento di realizzarli?
Un motivo costante in queste opere è la presenza ricorrente del fiammifero fuso in bronzo, un analogo di un fiammifero acceso non ancora bruciato. Il fiammifero acceso con una fiamma sospesa richiama una lunga fascinazione per ciò che brucia ma non si consuma, sia esistenzialmente, filosoficamente o praticamente (come nel caso della nostra ricerca di risorse rinnovabili). Il contagio dei fiammiferi accesi – che non sono ancora completamente consumati dalla fiamma del fuoco – rispecchia sia una minaccia, sia una vitalità di un’idea che si diffonde. Storicamente, la scoperta del fuoco e lo sviluppo di metodi per controllarlo e curarlo è stato un momento propulsivo, un momento cruciale per i primi esseri umani che ha permesso il nostro passaggio sia alla magia che alla tecnologia. Questo interesse nel potenziale simbolico di un fiammifero è stato stimolato mentre saldavo nello studio. Le luci fluorescenti nel mio studio erano in competizione con la luminosità della fiamma del fiammifero mentre cercavo di accendere la torcia di saldatura. Di conseguenza, non potevo sempre vedere la fiamma del fiammifero acceso. Per ragioni di sicurezza dovevo procedere come se la fiamma fosse accesa. Questo assunto cominciò a incuriosirmi. Ho cominciato a pensare all’idea di migliaia di fuochi piccoli ma potenzialmente interconnessi. Cosa potrebbe essere illuminato, trasportato o ulteriormente incendiato da queste fiamme subliminali? Ho cominciato a pensare al fiammifero come ad un invisibile agente di cambiamento.
Il mondo degli oggetti il più delle volte estende la sua materialità ad alcune implicazioni sociali e politiche incorporate in esso. Nessun materiale è inerte: possono sempre reagire sia fisicamente, ma anche concettualmente e narrativamente, con il contesto, in particolare in termini di storie che portano con sé, e relazioni di potere che rappresentano.
Alcuni critici hanno descritto i tuoi lavori anche in termini di “geologia politica”, e spesso hanno un inquietante carattere post-umano o distopico. Senti che la scelta dei materiali e degli elementi nel tuo lavoro porta intenzionalmente anche una qualche posizione politica? Ti interessa, per esempio, affrontare anche riflessioni sul cambiamento climatico o fornire un commento critico sul ruolo dell’uomo nella trasformazione dell’ambiente circostante?
Sì, certamente, e di pari importanza sono le mie politiche personali di divulgazione. Mi domando: se annuncio ogni mia convinzione, o pensiero, o intenzione, connessi al mio lavoro, la presenza determinante della mia voce e l’uso del linguaggio precludono prematuramente i possibili risultati o letture che questi lavori possono potenzialmente suscitare?