SITA

La telefonata

“Qual è il tuo più grande desiderio Sita?”
“Tornare a parlare con la mamma”. 

Non pensa al lavoro Sita, un ragazzone cordiale ma dallo sguardo malinconico, nato in Mali 22 anni fa. Neanche a preparare un futuro sereno, in pace, lui che è dovuto fuggire dal conflitto che i jihadisti stanno conducendo nel suo Paese da ormai oltre un decennio. 

Il suo sogno è parlare con la mamma. 

“Da quando sono partito non l’ho più sentita. Ho saputo da mia nonna che vive con un altro uomo (il papà di Sita è morto quando lui aveva 4 anni) e che si è trasferita, ma ogni volta che telefono non è lei a rispondermi e mi ripetono che ‘ora non c’è’ oppure ‘è uscita, ti faccio chiamare’. Ma mamma non chiama mai”. 

È il riflesso più duro della vicenda di chi migra, perdere il contatto con i propri famigliari. È atroce quando si tratta della mamma. 

Prima di questa mancanza, c’è la storia di un ragazzino costretto a iniziare a lavorare a quattro anni, che non è mai andato a scuola e rimane totalmente analfabeta fino alla soglia dei vent’anni. “Ho imparato a tenere una penna in mano, a leggere e scrivere per la prima volta a Pomezia”. Scappa dal conflitto, prima Algeria, deserto, poi Libia “Non sai quante violenze, e mi hanno anche rubato tutti i soldi, le scarpe, le magliette, mi ferivano con un coltello” .

“A cosa punti ora Sita?” “A trovare un nuovo lavoro, recuperare un po’ di stabilità – lo dice spingendosi entrambe le mani sulle tempie –  e a sentire la mamma”.

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