Afghanistan - L’arte della resilienza

Amanullah Mojadidi
Artista e curatore

Era l’estate 2021, e avevo dedicato diversi anni alla gestione di un programma pluriennale a sostegno del patrimonio culturale immateriale dell’Afghanistan, che comprendeva arti visive, letterarie e performative di ogni tipo. Tuttavia, dopo quasi 15 anni di lavoro a supporto dell’arte e della cultura contemporanea in Afghanistan come artista, curatore e project manager, in quell’estate mi sono ritrovato tristemente ad assistere a quello che sembrava il rapido chiudersi di un sipario, con i talebani che completavano la conquista del Paese entrando nella capitale Kabul ad agosto senza che venisse sparato un solo proiettile. Il loro ritorno al potere ha innescato uno sforzo internazionale per evacuare gli afghani le cui vite potevano risultare a rischio, inclusi artisti e promotori culturali il cui lavoro precedente e attuale avrebbe potuto essere considerato come una violazione delle restrizioni dei talebani su performance, contenuti letterari e/o immagini visive. Nel novembre dello stesso anno, il programma che gestivo e i vari progetti artistici e culturali che sosteneva furono chiusi, mentre un gran numero di amici, artisti e colleghi vivevano ormai in Europa. L’idea di realizzare una raccolta e un catalogo Imago Mundi di artisti afghani evacuati ha così trovato posto in questo progetto.

Il mio contributo riguarda quattro distinte “popolazioni”, se posso esprimermi così: i rifugiati rohingya a Cox’s Bazaar, in Bangladesh; gli evacuati afghani che ora vivono in Europa e alcuni altri artisti afghani e nigeriani in esilio in Iran e Francia. Il quarto gruppo è composto da artisti afghani rimasti in Afghanistan, dove vivono quasi da rifugiati, o da stranieri nel proprio Paese, a causa delle restrizioni imposte dai talebani sulla produzione artistica.

Afghani esiliati in Afghanistan

Che ne è degli artisti afghani che non sono stati evacuati ad agosto 2021, e che continuano a vivere nel Paese?
Cosa accade quando si diventa un rifugiato nel proprio Paese, esiliato all’interno dei suoi confini Rispondere a questa domanda è stata una delle parti più impegnative del progetto. Volevo includere artisti che vivono ancora in Afghanistan, senza mettere potenzialmente a repentaglio la loro vita nel caso in cui “la persona sbagliata” fosse venuta a conoscenza del lavoro artistico che stavano producendo. L’invio di tele fisiche era fuori discussione e le comunicazioni tramite messaggi effimeri sono diventate la norma. Per i pochi artisti che ho potuto coinvolgere nel progetto, l’entusiasmo nel poter mostrare il proprio lavoro era inconfutabile. Per garantire la loro partecipazione nel modo più sicuro possibile, abbiamo accettato le immagini delle loro opere che sono state poi stampate su tele di 10×12 cm. In questo modo, non è stato necessario l’invio dell’opera per posta, cosa che avrebbe potuto esporli a problemi mentre ancora tentano di orientarsi nelle loro vite e pratiche artistiche sotto il regime talebano.

Amanullah Mojadidi

 

Salwa Raheen

Vivo a Kabul. Ho una laurea in graphic design e un master in arti visive e performative. Ho lavorato per sette/otto anni nel settore dell’arte. Oltre al graphic design, la mia pratica include la scultura e i temi delle mie opere riguardano principalmente le donne e i bambini.
Avevo un centro poco fuori Kabul dove insegnavo disegno ai bambini perché volevo diffondere e sostenere la cultura in Afghanistan per quanto mi era possibile. Negli ultimi mesi del governo precedente, insegnavo graphic design e scultura nel dipartimento di Belle Arti dell’Università di Kabul. Con il governo attuale non siamo liberi di fare arte e non abbiamo nemmeno il diritto di mostrare il nostro lavoro.
La nostra speranza per il futuro è di poter continuare la nostra pratica artistica ed esporre il nostro lavoro. In tal modo potrò forse aiutare le donne e le persone dell’Afghanistan, e portare questo messaggio ai giovani.

 

Moheb Attai

Io dipingo da almeno metà della mia vita.
Ho studiato diversi stili e scuole di pittura ed ero proprietario di una grande galleria a Kabul, dove la gente veniva a vedere il mio lavoro. Ogni giorno ero lì a creare dipinti, ma da quando c’è stato il cambio di governo lavoro a casa, da questa stanza. Ogni giorno, con pennello e pittura, creo un’opera che rappresenta il popolo afghano, la sua gioia e il suo dolore. Ho deciso di non fermarmi e di continuare a fare arte finché avrò fiato in corpo.

Afghani evacuati all’estero

15 agosto 2021

Questo è il giorno in cui i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan dopo aver attraversato il Paese, provincia per provincia, fino alla conquista della capitale Kabul. Da quel momento, uno sforzo di evacuazione internazionale ha consentito agli afghani le cui vite potevano essere in pericolo di lasciare il Paese. Sebbene i numeri esatti siano difficili da ottenere, nei mesi successivi alla presa del potere dei talebani, decine di migliaia di afghani – compresi gli artisti – sono stati evacuati, principalmente verso l’Europa e gli Stati Uniti. Dopo 20 anni di consistenti investimenti nelle arti da parte dello stesso governo afghano, di nazioni straniere e di donatori internazionali, questi artisti si sono ritrovati senza patria in quegli stessi Paesi stranieri, dopo aver dovuto lasciare all’improvviso le loro case, famiglie e persone care. Il caos dell’evacuazione, i campi rifugiati provvisori, la paura per i diritti delle donne in Afghanistan, l’incertezza riguardo al futuro in terra straniera e la nostalgia di un Paese che si sono lasciati alle spalle si vedono e si percepiscono in maniera palpabile nelle opere realizzate per questo progetto.

 

Nawabi Shawali

Sfortunatamente la migrazione è un fenomeno che dura da molti anni e colpisce persone in tutto il mondo, a causa della guerra. Non so esattamente quando sia iniziato, ma si protrae da molto tempo in diversi Paesi africani e asiatici, come l’Afghanistan. Molti afghani sono dovuti andare negli Stati Uniti, in Europa, Australia e altrove; e tra di loro ci sono anch’io, perché ho trascorso la maggior parte della mia vita come migrante. Avevo circa sedici anni quando sono emigrato in Pakistan e poi in Iran, dove ho trascorso diciassette anni. Poi nel 2010 mi è stato possibile tornare nel mio Paese e ricostruirmi lì una vita. Ma sfortunatamente gli eventi dell’agosto 2021 ci hanno portato a migrare ancora una volta e siamo arrivati in Francia, dove ora viviamo. Spero che ognuno possa vivere in pace, fratellanza e unità nel proprio Paese, da qualunque parte del mondo provenga. Allora non ci sarà più bisogno di emigrare.

 

Naseer Turkmani

Sono un artista e fotografo afghano. Vivo in Francia da quasi un anno e mezzo. I temi che mi interessavano quando ero in Afghanistan erano principalmente di due tipi: l’identità, che esprimevo attraverso il collage, anche digitale, unendolo alla pittura e calligrafia, e la documentazione fotografica. Da quando sono in Francia, ho completato una serie di foto dal titolo Goodbye, con immagini scattate ad artisti afghani durante l’evacuazione, dopo che erano arrivati nei campi, fino a quando hanno potuto iniziare a condurre delle vite più normali.
Ho anche lavorato a un breve documentario a Parigi, su migranti afghani senzatetto o impegnati a rifarsi una vita. Essere rifugiato ha le sue difficoltà, come una nuova lingua, nuova cultura, nuovo tutto. Spero che, col passare del tempo e il progredire delle mie conoscenze linguistiche, stando qui più a lungo e continuando a lavorare, le cose migliorino.

Altri artisti in esilio

Infine, il gruppo più piccolo nel mio contributo al progetto è una manciata di artisti in esilio. Quattro dei cinque artisti di questo gruppo sono in realtà anch’essi afghani: due vivono come rifugiati in Iran e altri due a Parigi. Il quinto artista è un nigeriano che mi ha raccontato che l’opera creata per questo progetto, dal titolo Un re senza trono, è il primo dipinto completamente originale e non la riproduzione di un’immagine esistente, e rappresenta come si sente a vivere lontano dalla sua terra natale: come un re senza trono, senza regno, senza casa.

Amanullah Mojadidi

 

Razieh Alavi

Sono nata nel 1989 nella provincia di Daikundi, in Afghanistan. Scrivo poesie, mi esibisco in teatro e lavoro con la fotografia. Dal 2007 lavoro nel teatro di Mashad e ho recitato in diversi ruoli. Negli ultimi quattro anni mi sono occupata principalmente di fotografia e mi piace davvero molto. Sono rifugiata in Iran, il che comporta molte esperienze difficili. In questi ultimi anni, molti afghani sono venuti in Iran. Alcuni giorni fa sono andata a scattare delle foto nella casa di una famiglia afghana che è arrivata in Iran illegalmente. La madre mi ha raccontato una storia molto interessante e preoccupante sulle gravi difficoltà che hanno incontrato per venire in Iran. Alla figlia di otto anni che le aveva chiesto dove stessero andando, la madre ha risposto “in Iran”, e la bambina ha replicato “dov’è l’Iran?”.

La mamma le ha risposto che l’Iran è un bel posto ma, pochi giorni dopo essere arrivate, la bambina le ha detto che “non c’è nulla di bello qui – non abbiamo famiglia, amici, quindi cosa c’è di bello in tutto questo?” I rifugiati in Iran devono affrontare molte difficoltà a scuola, in panetteria, ovunque, soltanto perché sono rifugiati afghani. Quello che voglio mostrare attraverso la mia fotografia è l’effetto dell’immigrazione sui bambini: la maggior parte delle foto riguardano loro, in particolare bambini lavoratori afghani. Io stessa ho un fratello di nove anni e andiamo insieme a scattare fotografie. Un giorno, vorrei tanto esporre queste foto in una mostra.

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