Arafa and the Dirars

Arafa and the Dirars (Arafa, Mayas, Ethar, Waieel e Akram) formano un collettivo di artisti e, insieme, sono una famiglia. Vivono a Hull, nel Regno Unito.
Nati nel Sudan occidentale, hanno trascorso quattro anni in un campo rifugiati in Egitto, per poi arrivare nel Regno Unito nel 2015 attraverso un programma di reinsediamento delle Nazioni Unite. La loro pratica include il disegno, la pittura e la poesia. Le loro opere riflettono la loro personale storia di migrazione, con l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla difficile situazione di milioni di persone in fuga da guerre e persecuzioni.

I quattro anni trascorsi nel campo sono stati assai speciali e utili per sviluppare la nostra pratica artistica comune. Arafa (mamma) – lei stessa è creativa – ha incoraggiato noi (i Dirars) fin dalla tenera età a disegnare e dipingere, un’attività che ci è risultata naturale e che, ben presto, è entrata nella nostra vita quotidiana. A seguito dello scoppio della guerra in Libia nel 2011 e del nostro insediamento in un campo rifugiati, il disegno, la pittura, la creatività hanno assunto un significato diverso.
Non erano più un semplice momento di vita quotidiana, o l’attività che una mamma e i suoi figli svolgono in un pigro pomeriggio, né un mezzo per scoprire il proprio talento creativo. Per noi l’arte è diventata un modo per orientarci nelle nostre nuove vite, o in ciò che restava di quelle passate in quel particolare momento. Era anche un modo per affrontare il trauma della perdita e dell’incertezza del futuro che si profilava all’orizzonte.
In quella fase, l’arte è diventata una risorsa completamente diversa, e ha acquisito un peso e un valore profondi nelle nostre vite. Forse era sempre stato così, ma sicuramente ce ne siamo resi conto quando eravamo nel campo. Ci ha aiutato a esprimere noi stessi, ad affrontare sentimenti nuovi e difficili. Essere “bloccati” insieme in una piccola tenda per circa quattro anni ha avuto un ruolo importante nel modo in cui lavoriamo oggi: allora “dovevamo” lavorare insieme.
Avevamo risorse limitate, quindi in più occasioni lavoravamo tutti su un’unica opera, ed è da qui che tutto è iniziato. Non avremmo sviluppato la nostra attuale metodologia di lavoro se non avessimo vissuto quel genere di esperienza. Il tempo trascorso insieme ci ha aiutati a sviluppare uno stile di lavoro, come collettivo, che abbiamo portato avanti anche dopo il nostro arrivo nel Regno Unito.
Nella nostra nuova casa, l’arte è la nostra voce, la voce che parla a tutti a prescindere da lingua o età. È la voce capace di raggiungere tutti per metterci in guardia dalla guerra e dalle cose orribili che essa causa a noi umani.

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